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Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

La “volatility clustering”

Una caratteristica interessante che emerge dallo studio di serie di dati finanziari, è che la volatilità dei rendimenti azionari si muove largamente nel tempo. La volatilità mensile nei primi gli anni ’30 era del 20%, mentre all’inizio degli ani ’60 era appena del 2%[86]. Oltretutto le variazioni di volatilità tendono ad essere persistenti, e questo ha dato origine agli studi sull’eteroschedasticità dei rendimenti, e sulla volatility clustering (letteralmente “raggruppamento della volatilità”).

Gaunersdorfer e Hommes (2000) hanno realizzato un modello di eterogeneità di approcci in cui sebbene le notizie sui dati fondamentali seguono un processo random IID (Independently and Identically Distributed), è presente la volatility clustering sottoforma di un fenomeno endogeno dovuto alla presenza di due diversi tipi di trader: i fondamentalisti e gli analisti tecnici.

A questo punto i prezzi delle attività si spostano irregolarmente tra due regimi differenti, nel primo dei quali ci sono bassa volatilità e fluttuazioni dei prezzi prossime ai valori fondamentali, ed nel secondo, dominato dagli analisti tecnici, si verificano periodi di persistende deviazione dai dati fondamentali ed alta volatilità. Molto interessante anche l’analisi proposta da Schwert (1989) in cui si relazionano la volatilità dei rendimenti azionari con l’attività economica: aumenti della volatilità sembrano infatti caratterizzare sia le fasi di recessione, suggerendo un incremento della leva operativa in queste fasi, sia i periodi in cui aumenta la proporzione tra emissione di nuovo debito ed emissione di equity rispetto alla struttura preesistente, evidenziando in questo caso una relazione tra leva finanziaria e volatilità.

In generale si pensa che la volatilità sia un fenomeno in grado di cambiare nel tempo con degli andamenti più o meno correlati alle congiunture economiche e ai business cycles.

Figura 24. Volatilità Implicita del Mib30 a 3 mesi. Fonte: MyMoney.it

Per misurare la varianza, intesa come grado di casualità associata alle serie di rendimenti si utilizza il Variance Ratio, ottenuto dividendo la varianza dei rendimenti stimata per periodi lunghi per la varianza dei rendimenti stimata per intervalli più brevi, e poi normalizzando questo valore ad uno dividendolo per il rapporto tra intervallo più lungo e più breve.

Un VR maggiore di uno fa pensare che i rendimenti abbiano una correlazione seriale positiva, mentre un VR minore di uno suggerisce che i rendimenti della serie siano correlati in modo negativo o che i rendimenti dell’intervallo più piccolo tendano ad una Mean Reversion entro la durata dell’intervallo maggiore. A questa seconda ipotesi verrà dedicato il paragrafo seguente.


86 Si veda Veronesi (1999)

Marco Primavera

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