Home > Doc > Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia > Le anomalie più conosciute

Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

Le anomalie più conosciute

Sulla base delle considerazioni fatte finora, non è insensato ritenere che, sebbene la teoria dell’efficienza ritragga il comportamento emergente e l’indirizzo generale del mercato, esistono dei frangenti operativi in cui è rilevabile la presenza di “sacche di prevedibilità”, o comunque di patterns sistematici. Il fatto che queste irregolarità siano passeggere o limitate a determinati contesti spiegherebbe perché nessuna strategia di trading (come d’altra parte asserisce la forma semi-forte dell’EMH) è in grado di battere il mercato per un periodo di tempo medio-lungo. Molte delle controversie in merito al grado di prevedibilità, e dunque di inefficienza del mercato sono collegate ad una serie di anomalie riscontrate con una certa ridondanza nel corso dei decenni passati, e di cui la letteratura finanziaria fornisce numerose documentazioni.

L’effetto Gennaio

I primi a documentare un comportamento anomalo dei rendimenti del mercato in alcuni periodi dell’anno furono Rozeff e Kinney (1976), i quali evidenziarono un rendimento medio più alto nel mese di gennaio, rispetto agli altri mesi. Nel loro esperimento vennero utilizzate le azioni del NYSE nel periodo 1904-1974, ed il risultato fu il seguente: il rendimento medio del mese di gennaio era pari al 3.48%, notevolmente più alto dello 0.42% relativo al rendimento medio degli altri mesi.

Tale effetto è stato riscontrato anche negli anni successivi[73], e nei mercati azionari di paesi diversi[74]. Ultimamente è stato rilevato da Bhabra, Dhillon e Ramirez (1999) anche una sorta di effetto-Novembre, che però è osservabile soltanto dopo la Tax Reform Act del 1986. In particolare sembra che da quell’anno in poi anche l’effetto gennaio si sia intensificato, e ciò può essere interpretato come una vendita da perdita per tasse.

Tra le spiegazioni possibili dell’effetto gennaio, Roll (1983) propone il fatto che il rendimento in questo mese sia dovuto agli scambi messi in moto da un ri-bilanciamento dei portafogli, o dalla ricostituzione di posizioni chiuse con la fine dell’anno. Un’altra teoria è quella secondo cui il rendimento extra di gennaio è la remunerazione del rischio di trattare con operatori al corrente dei dati di bilancio.

L’Halloween indicator

La consuetudine “Sell in May and go away”, nota anche come Halloween indicator, sembra avere radici molto profonde nel tempo, soprattutto in Europa, dove è conosciuta fin dal 1694[75]. Si tratta di un forte effetto stagionale secondo cui i rendimenti azionari dovrebbero essere più alti nel periodo novembre-aprile, che non nel periodo compreso tra maggio e ottobre. Bouman e Jacobsen (2000) ne trovano evidenza in 36 dei 37 mercati studiati e anche se nel Regno Unito tale evidenza è più marcata, si può affermare che nel continente europeo in generale il periodo delle vacanze estive sembra portare con sé una forte seasonality dei rendimenti.

L’effetto Weekend (o effetto lunedì)

Studiando le variazioni giornaliere dei prezzi è possibile ricavare il comportamento dei mercati nei giorni non lavorativi, ed estrapolare dunque il cosiddetto “effetto weekend”. In particolare è possibile esaminare se quando il mercato è chiuso si modifica la velocità dei processi che generano l’andamento dei prezzi. Granger e Morgenster (1970) trovano che la velocità di tali processi rallenta quando il mercato è chiuso, come conseguenze di una diminuzione della varianza per unità di tempo. French (1980) analizzando i rendimenti delle azioni nel periodo 1953-1977, ha evidenziato che i rendimenti tendono ad essere negativi di lunedì, mentre negli altri giorni della settimana tendono ad essere positivi.

Oltretutto specifica che tale comportamento è dovuto in modo particolare all’effetto weekend, e non generalmente alla chiusura del mercato. Barone (1990) ricorda che nei mercati cash la variazione di prezzo del lunedì rappresenta il rendimento di un investimento durato 3 giorni (ovvero anche i due precedenti), e quindi se si fa riferimento al calendario civile, tale rendimento dovrebbe essere il triplo del rendimento realizzato in media negli altri giorni, cosa che non accade nei mercati a termine[76]. La letteratura recente sembra tuttavia segnalare che l’effetto weekend non sia più rilevabile negli ultimi anni: Kamara (1997) mostra che lo S&P 500 non ha evidenziato un significativo effetto lunedì dopo l’ aprile del 1982, e Steeley (2001) che l’effetto weekend nel Regno Unito è sparito negli anni ’90.

L’effetto cambio del mese

Tra le anomalie di “calendario” la più marcata è l’effetto cambio del mese, riscontrata in mercati diversi da molti studi. Lakonishok e Smidt (1988) hanno evidenziato un aumento della redditività delle azioni nel cambio del mese, inteso come ultimo giorno lavorativo del mese e i tre giorni successivi. Ariel (1987) ha riscontrato un forte aumento della variabilità dei prezzi nell’ultimo giorno del mese. Evidenza nel mercato giapponese, di questo fenomeno è stata fornita da Ziemba (1991): in questo caso il turn of the month è dato dagli ultimi cinque giorni ed i primi due del mese. Per il mercato azionario italiano l’effetto cambio del mese, ed in particolare l’effetto settlement sono stati analizzati da Barone (1987) nel periodo di tempo 1981-86.

Lo stesso Barone, nello studio delle anomalie di calendario[77], rileva che il mercato italiano esibisce un andamento ben differenziato nella prima e nella seconda parte del mese solare, infatti i prezzi delle azioni diminuiscono nella prima parte del mese solare per poi aumentare nella seconda parte, in concomitanza con il chiudersi e l’aprirsi di due cicli borsistici. Evidente è l’aumento delle quotazioni alla fine del mese. Tra le possibili spiegazioni di questo fenomeno ci sono, da una parte il fatto che il pagamento dei salari a fine mese può influenzare la domanda di titoli; dall’altra l’uso da parte degli investitori istituzionali di concentrare gli acquisti a fine mese, in corrispondenza delle rilevazioni della stampa specializzata.

L’effetto holiday

Ultima importante anomalia da calendario è quella legata alle variazioni dei prezzi nei giorni che precedono i festivi[78]. Da uno studio di Jacobs e Levy (1988) risulta che il 35% della crescita dei corsi delle azioni nel periodo 1963-82 si è stato messo a segno negli otto giorni prefestivi di ciascun anno. Sembra infatti che oltre ad una maggiore variabilità dei prezzi ci sia una maggiore tendenza verso il rialzo nei giorni prefestivi: Barone (1990) evidenzia, per l’indice MIB storico, che le variazioni di tali giorni sono positive nel 60 percento dei casi, contro il 49 degli altri giorni.

Altri “effetti”

Oltre a quelle esaminate finora (le cosiddette anomalie di calendario), figurano nella letteratura finanziaria anche altri tipi di imperfezioni del mercato, legate agli aspetti più diversi. Tanto per rendere l’idea, nell’agosto scorso è stato pubblicato un articolo di David Hirshleifer e Tyler Shumway intitolato Good Day Sunshine: Stock Returns and the Weather, in cui nel periodo 1982-97 si è studiata la relazione esistente per 26 sedi borsistiche, tra le condizioni atmosferiche e il segno degli scambi.

Il fatto che il sole tenda ad accompagnare giornate affaristiche positive, in effetti, sembra ricondurre alla tesi sostenuta nella seconda parte di questo lavoro, in cui si sono analizzate le componenti emotive ed irrazionali degli investitori, che fanno sì il mercato abbia in qualche modo un umore. Per quanto riguarda il tempo atmosferico si vuole tuttavia ricordare un luogo comune secondo cui il mercato è tutt’altro che inefficiente, in quanto mostra di saper formulare delle previsioni del tempo talvolta più azzeccate di quelle fornite dalla televisione, dal momento che tali previsioni sono fondate sull’interesse economico di tutti coloro che hanno assunto posizioni in prodotti derivati scritti su merci la cui deperibilità è legata alle precipitazioni atmosferiche[79]. L’effetto S&P 500 è stato invece documentato da Harris e Gurel (1986) e da Shleifer (1986).

Questi autori hanno constatato un sorprendente “premio”, superiore al 3 percento, legato all’annuncio dell’inclusione di un titolo all’interno dell’indice S&P 500. Anche questo tipo di anomalia contribuisce a dare una spallata alla EMH, in quanto l’annuncio di una quotazione all’interno di un indice, è si un informazione, ma priva di alcun contenuto di novità, e quindi tale evidenza costituisce un’importante eccezione all’assunto della teoria dell’efficienza riguardante l’incorporazione di informazioni nei prezzi. Infine, un’altra anomalia rilvata è il cosiddetto small firm effect, o size effect. Tra a primi a parlarne è stato Reinganum (1981), il quale spiega che il rendimento corretto per il rischio delle società a bassa capitalizzazione è mediamente superiore del 20 percento. Evidenza di un maggiore rendimento delle piccole società è fornita anche nello studio di Banz (1981) fatto sul periodo 1936-75.


73 Evidenza dell’effetto gennaio per il periodo 1977-1986 è stata fornita da Bhardwaj e Brooks (1992)

74 Si veda Gultekin, M. and N. B. Gultekin (1983). "Stock Market Seasonality: International Evidence," Journal of Financial Economics, 12: 469-481.

75 Questa anomalia è trattata specificamente in Bouman, S. e Jacobsen, B. The Halloween Indicator, ‘Sell in May and Go Away’ : Another Puzzle. (2000)

76 Si veda Barone, E. Il Mercato Azionario Italiano: Efficienza e Anomalie di Calendario. (1990)

77 Si veda Barone, 1990.

78 Si veda anche Cadsby e Ratner (1992) e Ariel (1990).

79 Tale aneddoto, insieme a tanti altri riguardanti il mondo degli strumenti derivati, hanno costituito per chi scrive forse la parte più avvincente delle lezioni di Economia del Mercato Mobiliare del prof. Emilio Barone, tenute presso la Luiss Guido Carli.

Marco Primavera

Successivo: "Over/under-reaction" degli operatori

Sommario: Index