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Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

La questione volatilità

La questione volatilità è probabilmente un tassello chiave all’interno del puzzle del comportamento più o meno razionale dei mercati, e come tale va affrontato in modo attento. Difatti tutta la letteratura sulla excess volatility dei mercati, è volta sostanzialmente a ricordare che in qualche modo la volatilità in eccesso implica prevedibilità, e quindi inefficienza. Inoltre un’alta percentuale di volatilità rende operabili strategie di opzioni (come le straddle o le strangles) in cui si profitta su alti range di oscillazione del sottostante.

Tralasciando le anomalie viste finora, si dovrebbe cercare di capire se le informazioni importanti (riguardanti utili o dividendi) si manifestano davvero, prima o poi, nei prezzi dei titoli, e quindi se il mercato finanziario alla fine sia efficiente o meno, nel lungo periodo. In effetti giornalmente parlando, come si è visto anche nel corso del presente lavoro, è molto difficile scorgere evidenze di prevedibilità[82].

Per verificare se nel lungo periodo esiste una significativa relazione tra i prezzi e i dividendi, è stato fatto ricorso allo studio della varianza. Lo stesso Shiller pubblicò nel 1981 un articolo sull’ American Economic Review, intitolato “Do stock prices move too much to be justified by subsequent changes in dividends?”[83] in cui sostiene che se i prezzi debbono i loro movimenti all’andamento dei dividendi, allora la volatilità dei prezzi dovrà trovare riscontro, in un periodo di riferimento lungo, nella volatilità dei dividendi.

Invece dall’articolo in questione risulta evidente che gli sbalzi dei prezzi dalla media non hanno trovato corrispondenza nei movimenti dei dividendi. In particolare Shiller utilizza l’andamento dei valori attuali dei dividendi, ponendoli su un grafico insieme all’andamento dell’indice reale dei prezzi dello S&P Composite per il periodo 1871-1979: tale grafico mostra una sorprendente linearità dei dividendi attualizzati per tutto il corso del secolo, ed in contrasto con questi si notano le forti spinte verso l’alto dell’indice azionario in corrispondenza del 1929 e successivamente in un rigonfiamento che comincia durante gli anni ’50 e si chiude a metà dei ’70.

Infine a partire dal 1982 comincia una salita continua dell’indice in cui il crollo dell’87 rappresenta solo una piccola correzione, e che a partire dalla seconda metà degli anni novanta supera i 600 punti e raggiunge livelli elevatissimi, sfiorando nel marzo 2000 i 1500 punti mentre il valore attuale dei dividendi, sebbene in lieve salita avrebbe suggerito un valore fondamentale al di sotto dei 400 punti. Ciò che è più importante è che non esiste alcun andamento nel grafico dei dividendi attualizzati che possa ricordare quello del contestuale movimento dei prezzi azionari.

Il crollo dell’81% avvenuto negli anni successivi al 1929 fu accompagnato da una diminuzione del valore attuale dei dividendi soltanto del 3,1%. In pratica tale crollo fu irrazionale almeno quanto il boom che lo aveva preceduto. In generale comunque si può affermare che la volatilità dei prezzi e dei dividendi non è concorde come la teoria del mercato efficiente lascerebbe presumere, anzi è stato stimato (Campbell e Shiller, 1988) che solo il 27% della volatilità dei rendimenti annuali del mercato americano è forse giustificabile in termini di informazioni sui dividendi futuri.

In realtà, come pure ricorda Kenneth West, non c’è un modello di bolla razionale, né modelli standard sui rendimenti attesi in grado di spiegare questa divergenza in termini di volatilità, che invece sembra riconducibile alle Fads e al comportamento dei noise trader, che come si è visto già nella parte seconda del lavoro influenzano sempre di più l’andamento delle quotazioni azionarie[84].

Veronesi (1999) spiega che oltretutto l’altalenante grado di incertezza tra gli investitori circa i rendimenti azionari genera degli hedging behavior in grado di provocare overreaction alle cattive notizie in tempi buoni e underreaction alle buone notizie in tempi cattivi. Questo di conseguenza si riflette in una oscillazione della stessa varianza.

L’uso della volatilità implicita

Il grado di uncertainty è spesso associato ad eventi come gli earnings announcement. Già nel 1968 Ball e Brown hanno rilevato un delay nella risposta del mercato alle informazioni circa determinati eventi. Successivamente questa cosiddetta “post announcement drift” è stata riscontrata in diversi mercati del mondo.

Attraverso una elaborazione del modello di Black e Sholes di determinazione del prezzo delle opzioni, il quale oltre che di altre variabili è funzione della variabilità dell’attività sottostante, si può determinare l’aspettativa del mercato sul futuro livello di volatilità delle azioni: in questo consiste la volatilità implicita, o ISD (Implied Standard Deviation), in quanto è implicita nei prezzi correnti delle azioni[85]. La ISD è particolarmente associata al livello di incertezza circa l’informazione rilasciata: in uno studio sugli earning announcement relativi al mercato finlandese, Petri Sahlström rileva che la volatilità implicita è insolitamente alta prima di un annuncio sugli utili e che successivamente il suo livello si abbassa nettamente dopo l’evento.

Oltretutto si nota che una variazione nella ISD è negativamente correlata con il rendimento azionario nel periodo dell’annuncio.

Figura 23. Volatilità implicita durante un earning announcement. Fonte: Sahlström (2000)

Nella figura 23 viene esaminato l’andamento della volatilità implicita nell’arco di tempo comprendente i venti giorni precedenti ed i venti giorni successivi ad un annuncio sugli utili: come si vede il immediatamente prima dell’annuncio la volatilità è massima, in corrispondenza con il massimo livello di incertezza, dopodiché torna al livello medio.


82 Anche perché se così non fosse, chi scrive avrebbe lasciato ad altri l’incombenza di occuparsi del presente lavoro e si sarebbe precipitato a vendere opzioni allo scoperto al CBOT!

83 Contestualmente comparve l’articolo di LeRoy e Porter Stock Price Volatility: A Test Based on Implied Variance Bounds. Econometrica (1981)

84 si veda West, Kenneth D. Bubbles, Fads and Stock Price Volatility test: A Partial Evaluation. Journal of Finance, 1988.

85 Barone e Cuoco (1991) notano che tuttavia opzioni scritte sullo stesso titolo, e con la medesima scadenza tendono ad avere volatilità implicite diverse, a causa degli arrotondamenti impliciti nelle quotazioni dei premi e degli errori di misurazione delle variabili.

Marco Primavera

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