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Razionalità e motivazioni affettive

Introduzione

Recentemente tra gli economisti è emerso un grande e rinnovato interesse per la psicologia. Rassegne e convegni tentano già di fare il punto su questa recente ricerca interdisciplinare che si propone di passare dall’Homo Economicus ad una rappresentazione dell’uomo più vicina alla realtà (Rabin 1998; Elster 1998; Rabin 2002; Tirole 2002; Brocas e Carrillo 2003). Tuttavia, è ancora molto forte la consapevolezza di essere lontani da una nuova e robusta teoria, e pertanto, come dice Tirole (2002:642), “lasciamo che fioriscano mille fiori”. La ricerca sta infatti prendendo diverse direzioni.

In particolare, la cosiddetta “economia comportamentale” tenta di integrare la teoria classica della scelta razionale con nuove ipotesi prese a prestito dalla psicologia, e in particolare dalla psicologia sperimentale (Mullainahtan e Thaler 2000). Il motivo di questo tentativo è dovuto alla incapacità della teoria classica di cogliere importanti aspetti delle scelte umane, che emergono dunque come delle “anomalie”, e che appaiono come “irrazionali”. In psicologia, invece, sembra esserci la tendenza a trovare un senso in ogni comportamento umano, e quindi le “anomalie” non sarebbero “irrazionali” (Legrenzi 2003).

Un altro tentativo, pur meno recente, di allontanarsi dall’Homo Economicus attingendo agli studi di psicologia è l’approccio della “razionalità limitata” di Herbert Simon. In questo caso, com’è noto, la definizione di razionalità (procedurale) è più ampia di quella classica (sostantiva), e dunque comportamenti che la teoria classica avrebbe definito come irrazionali, non lo sono per questo approccio (Simon 1982; 1985). Studiare cosa include il termine irrazionalità non appare dunque meno interessante che studiare cosa include il termine razionalità, che di solito ha invece costituito il centro dell’attenzione. Dalla letteratura di economia e psicologia economica si può osservare che tra le motivazioni umane non razionali quelle più studiate sono dovute alle “emozioni” e agli “istinti”.

Nonostante che questi termini siano stati usati con diversi significati, sembrano comunque essere sufficientemente precisi per indicare che gli individui hanno stati soggettivi caratteristici, osservabili, e apparentemente spiegabili, pur non deliberati, che influenzano le decisioni in modo significativo. Sembra infatti che le “emozioni” e gli “istinti” possano indurre a comportamenti apparentemente contrari all’autointeresse o addirittura autodistruttivi. Dal punto di vista della teoria classica della scelta, sembra che le “emozioni” e gli “istinti” possano spiegare sistematici errori decisionali, o equilibri sotto-ottimali. Sarà poi compito della economia comportamentale respingere le critiche più tradizionali, mostrando che le anomalie riscontrate sono rilevanti, che non costituiscono “rumori”, e che non sono eliminabili con l’apprendimento o con l’operare del mercato (Rabin 2002; Shafir e LeBoef 2003).

Il principale approccio economico alle “emozioni” e agli “istinti” rappresenta l’uomo come una strana combinazione fra l’Homo Economicus, sede della razionalità classica, e un animale assai poco umano, da cui partirebbero spinte distruttive o autodistruttive, immediate o differite. Da questo approccio emerge dunque che le scelte razionali vengono distorte o vincolate dalle “emozioni” e dagli “istinti”. Di conseguenza, la razionalità andrebbe perseguita attraverso una migliore gestione delle informazioni, incluse quelle riguardanti le “emozioni”e gli “istinti”, allo scopo di mettere questi sotto controllo. Il ricorso alla rappresentazione dell’uomo come “metà animale”, tuttavia, non appare soddisfacente. Due obiezioni potrebbero venire mosse immediatamente. Anzitutto, gli animali hanno comportamenti dotati di una loro “razionalità”, in quanto rivolti a garantire in modo efficiente la sopravvivenza e lo sviluppo degli individui e della loro specie. Salvo rare eccezioni, non sono autodistruttivi. In secondo luogo, gli animali non soffrono di malattie mentali, che caratterizzano sfortunatamente gli uomini nei casi in cui, apparentemente, le “emozioni” e gli “istinti” sembrano travolgere la razionalità.

Il presente lavoro intende affrontare un diverso approccio alle motivazioni non razionali al comportamento umano, che rimane quasi inesplorato in ambito economico, mentre è ampiamente riconosciuto in psicologia e in due discipline relativamente affini: la neurobiologia e la psichiatria. Questo approccio rappresenta l’uomo come dotato di motivazioni, che saranno chiamate “affettive”, che sono diverse sia da quelle dettate dalla razionalità, sia dagli “istinti”. Le motivazioni “affettive” sono caratterizzate come specificamente umane per due motivi: sono in grado di dare una identità specifica all’individuo, quelle fondamentali prendono forma nell’ambito dei rapporti interpersonali. Non solo, ma la razionalità classica non può essere operativa senza le motivazioni “affettive”, ed entrambe concorrono alla determinazione del benessere soggettivo.

Per affrontare questo approccio, è dunque necessario approfondire l’analisi delle motivazioni “affettive”, della loro genesi, delle loro caratteristiche e dei loro effetti. Una analisi minimamente rigorosa deve ricorrere alla neurobiologia per conoscere quanto si sa sulla natura umana a partire dalla osservazione del cervello, ed alla psichiatria per conoscere quanto si sa sulla natura umana a partire dallo studio della formazione e dello sviluppo della mente umana. Purtroppo, queste discipline rispondono alle questioni che maggiormente interessano agli economisti solo in modo molto incompleto, a volte in modo ipotetico, e non di rado in modo non univoco. Il dibattito è infatti ancora aperto fra diversi ricercatori e scuole di pensiero. Questo lavoro, pertanto, cercherà di organizzare diversi e importanti risultati che sono emersi nella letteratura in neurobiologia e psichiatria, oltreché in psicologia, nel tentativo di rispondere a questioni che appaiono cruciali per la robustezza delle fondamenta della teoria economica. Per una maggiore efficacia espositiva e per tracciare una possibile linea di ricerca interdisciplinare, i risultati di questa letteratura saranno organizzati attorno ad alcune ipotesi, le quali, a causa della varietà degli studi considerati, saranno formulate con una certa autonomia terminologica.

La prima ipotesi distingue nell’uomo tre tipi di motivazione: una “istintiva”, una seconda “affettiva”, ed una terza “razionale”. Le etichette sono parzialmente evocative, ma una loro precisa definizione costituisce di per sé un obiettivo interessante di questo lavoro. Sottostante a ciascun tipo di motivazione si ipotizza che sia presente uno specifico livello di identità umana. Si definirà così una identità “primitiva”, una identità “inconscia” ed una identità “cosciente”.

La seconda ipotesi, di particolare interesse per gli economisti, riguarda il benessere soggettivo derivante dalle tre diverse motivazioni. Mentre generalmente l’economia comportamentale trascura le motivazioni “affettive”, una ampia letteratura di psicologia suggerisce l’ipotesi che le motivazioni “affettive” procurino un maggior benessere soggettivo rispetto agli altri tipi di motivazione.

La terza ipotesi riguarda la dinamica delle motivazioni e della identità, vale a dire come queste hanno origine, come si sviluppano o come si indeboliscono. Nella letteratura di neurobiologia, di psichiatria e di psicologia non c’è accordo esplicito su questi problemi. C’è tuttavia un grande accordo, proveniente anche da diversi studi econometrici, sulla importanza fondamentale dei rapporti interpersonali per il benessere soggettivo. Questo suggerisce l’ipotesi che i rapporti interpersonali influenzano lo sviluppo dell’identità e la propensione per l’uno o per l’altro fra i tre tipi di motivazione.

In tal modo, si potrebbe aprire la strada per studiare come aumentare il benessere soggettivo. Queste tre ipotesi costituiscono la base per una risposta affermativa alla domanda posta nel titolo, in quanto sono portatrici di nuove idee su alcuni problemi fondamentali studiati nella teoria economica, come quelli della razionalità, della scelta, e del comportamento degli individui. Tuttavia, qui non verranno discusse le implicazioni per la teoria economica derivanti da queste tre ipotesi. Verrà solo fornita qualche indicazione di come l’economia comportamentale sia ancora un tentativo molto limitato di estendere la teoria economica classica. L’organizzazione di questo lavoro è la seguente.

Il paragrafo 1 presenta i tre tipi di motivazioni e i tre livelli di identità dell’essere umano basandosi soprattutto su alcuni studi di neurobiologia. Il paragrafo 2 mostra come diversi studi di economia comportamentale abbiano incluso le motivazioni “affettive” in quelle “istintive”, con il risultato di dare alle motivazioni “razionali” la priorità esclusiva nel procurare benessere soggettivo. I paragrafi 3 e 4 mostrano, partendo da diversi filoni di psicologia, che le motivazioni “affettive” e “razionali” sono complementari, e che le prime sono particolarmente efficaci per garantire il benessere soggettivo. Il paragrafo 5 solleva un problema che incontra questa letteratura: l’equilibrio nello sviluppo delle diverse motivazioni. Per dare una risposta a questo problema, il paragrafo 6 attinge alla letteratura di psichiatria, trovando che i rapporti interumani sono cruciali nell’origine e nello sviluppo delle motivazioni “affettive”, e quindi nell’origine di eventuali squilibri e comportamenti autodistruttivi. Il paragrafo 7 è dedicato ad alcune considerazioni conclusive.

Prof. Maurizio Pugno

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