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Razionalità e motivazioni affettive

Il cortocircuito fra motivazioni "istintive" e motivazioni "razionali"

Il recente e rinnovato interesse degli economisti per la psicologia è dovuto al riconoscimento che questa può essere utile per spiegare svariate e rilevanti tipologie di comportamento umano che la teoria classica della scelta razionale non è in grado di spiegare. Sembra infatti comprovato da una buona quantità di esperimenti, oltreché dalla osservazione quotidiana, che diversi comportamenti umani divergono sistematicamente da quanto previsto dalla teoria classica.

Tirole (2002) e Rabin (2002) passano in rassegna queste “anomalie” e, a sommi capi, la letteratura che le ha affrontate per mezzo di una estensione della teoria classica ad ipotesi tratte dalla psicologia sperimentale, dando così luogo alla economia comportamentale. Tuttavia, si può facilmente osservare che molti studi di questo tipo di letteratura tentano di risolvere le anomalie aggiungendo in contrapposizione alle classiche motivazioni razionali un tipo di motivazioni che sembrano quelle istintive, ignorando invece il concetto di motivazioni affettive. In altre parole, l’individuo che deve decidere su un bene (o su un piano d’azione) viene rappresentato come motivato dalla possibilità di ottenere il massimo beneficio in termini di utilità estratta da quel bene (o da quel piano) secondo il classico calcolo razionale, una volta noto un certo insieme di informazioni, e da una eventuale e contrastante motivazione istintiva che sembra essere direttamente dovuta agli stimoli provenienti da quel bene (o dalla realizzazione attesa del piano d’azione).

Loewenstein (1996; 2000) e Gifford (2002) costituiscono forse i più lucidi tentativi di fondare un approccio al comportamento umano basato sulle sole motivazioni razionali ed istintive. Secondo Loewenstein (1996:272) l’individuo si può trovare “fuori dal controllo” razionale, e dunque non in grado di massimizzare la sua utilità, perché sotto la spinta di “fattori viscerali”, come “la fame, la sete, il desiderio sessuale, i sentimenti e le emozioni, il dolore fisico, e la spinta alla droga se assuefatto”. Gifford, dopo aver ricordato che nel corpo umano esistono due diversi circuiti neurosensoriali, tenta di mostrare che “l’autocontrollo è […] il risultato di un problema con l’inibizione della spinta dell’emozione, laddove questa inibizione è necessaria per una deliberazione di livello più elevato”. Seguendo questo approccio, altri studi approfondiscono singoli comportamenti tipici, ma, secondo la teoria classica, anomali, come l’addiction, il compulsive consumption, il cue consumption, fino all’altruismo, o quei comportamenti che vengono influenzati dal self-image, dall’anticipatory feeling, dal projection bias (Tirole 2002; Rabin 2002).

Questa rappresentazione delle motivazioni umane, e la conseguente spiegazione dei comportamenti anomali, è insoddisfacente per una serie di motivi, alla base dei quali vi è la contrapposizione tra la motivazione razionale classica e un solo altro tipo di motivazione che, tendenzialmente, è definito in modo residuale. Quindi, non solo non si distinguono gli istinti innati da quelli acquisiti, ma si ignora che le motivazioni istintive sono generalmente congiunte alle motivazioni affettive.

L’individuo si troverebbe pertanto a decidere di un bene sulla base di una potente capacità razionale e di una primitiva spinta istintuale, vale a dire sulla base di una massima capacità di astrazione, che priva l’individuo di qualsiasi specificità, e di una spinta concentrata sulla acquisizione del bene, tipica degli animali. Viene invece ignorata l’immagine che l’individuo ha di sé in rapporto al bene, che sta alla base, come s’è visto, di un terzo tipo di motivazione. Introdurre gli istinti, o comunque motivazioni non razionali assimilate agli istinti, ignorando i sentimenti e l’identità inconscia dell’individuo, che sono caratteristiche invece della motivazione affettiva, può sciogliere alcune “anomalie” della teoria classica della scelta e consentire così predizioni più realistiche (Tirole 2002).

Tuttavia, ha la conseguenza di allontanare l’analisi dall’Homo Economicus senza avvicinarla alla realtà umana. La direzione intrapresa conduce infatti ad aprire più problemi che a risolverli. Il primo problema riguarda la definizione e il ruolo delle motivazioni non razionali. La definizione secondo la quale queste motivazioni hanno un “impatto edonico solitamente negativo”, e modificano la desiderabilità dei diversi beni (Loewenstein 1996:272) è quantomeno vaga. Se questi fattori vengono intesi come circoscritti ai soli istinti innati, allora, per quanto potenti in ultima istanza, non si può dire che si presentino normalmente in forma pura.

In tal caso l’economia comportamentale estenderebbe la teoria classica per spiegare casi poco interessanti perché poco frequenti. Se, d’altra parte, le motivazioni non razionali vengono intese come istinti acquisiti, allora si apre il problema di come questi istinti sarebbero stati acquisiti. Assumerli come dati, lascia fuori la parte più interessante del problema. Il secondo problema riguarda una debolezza della spiegazione offerta.

Il principale risultato dell’economia comportamentale attribuisce la mancata ottimizzazione del comportamento alla presenza di una sufficiente motivazione istintiva (Loewenstein 1996; Kaufman 1999). Questa spiegazione assomiglia molto ad una spiegazione circolare, in quanto non si spiega quando la motivazione istintiva debba essere considerata elevata e dunque capace di interferire con la razionalità. Il terzo problema riguarda le implicazioni di policy della economia comportamentale, che solitamente suggeriscono di aumentare la quantità e la qualità delle informazioni per far prevalere la motivazione razionale.

Questo però è poco credibile se non fuorviante. Infatti, queste policy devono contrastare una motivazione che è inconscia, dunque nulla garantisce che le nuove informazioni vadano invece a stimolare una motivazione inconscia contrastante più potente e sofisticata. Il cortocircuito di considerare le motivazioni non razionali come costituite solo da motivazioni istintive appare essere più una trappola che una approssimazione per una ricerca che tenti di allontanarsi dall’Homo Economicus. Infatti, ignorare la motivazione affettiva, che è basata su immagini, permette di concentrare l’attenzione sui beni materiali e tangibili, che costituiscono l’oggetto privilegiato sia della razionalità, sia degli istinti.

Il cortocircuito, dunque, diventa fra beni materiali, che la razionalità è in grado di gestire nel migliore dei modi, e benessere soggettivo, che gli istinti hanno il diritto di rappresentare essendo anch’essi indiscutibilmente costitutivi dell’uomo. La motivazione razionale, pertanto, ha buon gioco nel guadagnarsi la priorità sulle altre motivazioni.

Prof. Maurizio Pugno

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