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Razionalità e motivazioni affettive

La complementarità fra motivazioni "affettive" e motivazioni "razionali"

Le motivazioni affettive costituiscono una fonte importante per il comportamento e per il benessere soggettivo nella misura in cui si sviluppano e si rafforzano in armonia con le altre motivazioni. Esse consentono di potenziare la quantità e la qualità delle immagini, e quindi delle informazioni inconsce in esse contenute, nonché la spinta all’azione.

D’altra parte, la razionalità presenta importanti punti di forza, come la replicabilità delle elaborazioni complesse e la diffusione dei risultati. In questo paragrafo si vedrà brevemente come una grande quantità di studi di psicologia, oltre a quelli citati di neurobiologia, concludono che le motivazioni affettive sono complementari con le motivazioni razionali, vale a dire difficilmente sostituibili e con effetti sinergici. Recentemente si sta affermando un filone di studi di psicologia in cui si sostiene che nell’uomo esistono fondamentalmente due modi di pensare complementari: quello esperienziale/affettivo, e quello razionale/analitico.

Il primo è intuitivo, automatico, naturale e basato su immagini, il secondo deliberativo e basato sulla ragione. La mente umana si sviluppa attraverso due modi paralleli di apprendere la realtà, di processare le informazioni, e di comportarsi (Epstein 1994; Slovic 2002; Kahneman 2003).

Un secondo filone di studi, più ambizioso e radicale, mette in evidenza l’importanza delle motivazioni affettive (“affetti”) mostrando che sono sempre presenti nei “processi cognitivi”, mentre possono sussistere anche senza dar luogo a “processi cognitivi” (Zajonc 1980; 2000; Forgas 2003). In particolare, si mette in evidenza che le “valutazioni affettive” implicano un sé, in quanto identificano lo stato di chi valuta in relazione all’oggetto valutato. Si riconosce infine che l’“affetto” domina nell’interazione sociale, e costituisce la “principale moneta” nei rapporti interpersonali (Zajonc 1980:153).

Un terzo filone mostra la sinergia delle motivazioni affettive con quelle razionali studiando gli effetti delle emozioni e dei sentimenti di segno positivo sui modi e sulle capacità di scelta degli individui (Isen 2000). Gli effetti messi in evidenza sono molteplici, ma possono essere così sintetizzati. Vengono aumentate le informazioni percepite, l’interesse per i problemi, la capacità di problem-solving, le attese di successo se coinvolti in una attività incerta (come ad esempio la ricerca di un lavoro), la capacità di mediare e contrattare con gli altri, di intuire i pay-off della controparte, di decidere più velocemente attraverso una più rapida selezione delle opzioni, di dare risposte più creative.

Non vengono invece aumentate le attese di successo nei giochi casuali, l’interesse e le capacità nei giochi noiosi. Damasio (1995) suggerisce due ambiti complementari, e in sequenza, per le motivazioni affettive e razionali. Le prime fornirebbero, attraverso la selezione e la caratterizzazione somatica delle immagini, l’insieme di informazioni utili per la scelta razionale, nonché la spinta per la decisione e il comportamento. Le motivazioni razionali permetterebbero invece di valutare l’efficienza di un insieme già selezionato di ipotetici piani d’azione. Queste considerazioni di Damasio non sembrerebbero aggiungere molto alla teoria classica della scelta razionale. Tuttavia, i filoni di psicologia appena richiamati e Damasio (2003) stesso consentono di sostenere che le motivazioni affettive possono prevalere in modo efficace su quelle razionali in due ambiti complementari e paralleli.

E’ stato osservato che la motivazione affettiva è particolarmente efficace quando il tempo è scarso per prendere una decisione, riconoscendo che invece la motivazione razionale non è priva di costi psichici (Slovic ed al. 2002). Ma un caso più interessante emerge quando si considera la quantità e qualità delle informazioni. Tanto più sono scarse, quanto più la valutazione razionale è approssimativa, e quanto più la capacità intuitiva diventa rilevante. Com’è noto, la teoria della scelta razionale in condizioni di incertezza assume che l’individuo sia in grado di processare le informazioni in modo Bayesiano.

Tuttavia, a parte le svariate anomalie in cui le scelte degli individui tendono a non tenere conto delle leggi della probabilità (cfr. Tversky e Kahneman 1974), gli studi di neurobiologia e di psicologia mettono in luce un altro tipo di incertezza. Si tratta dell’incertezza dovuta alla variabilità futura della identità, la quale è chiamata a realizzare la decisione intrapresa. In parte può essere una incertezza endogena, perché può dipendere dalla decisione stessa. Il tipico esempio è la scelta di un impegno di lavoro: una forte motivazione affettiva può alzare il pay-off atteso. In questo caso, la motivazione affettiva può essere più efficiente.

Dunque, le motivazioni affettive e razionali possono avere due ambiti complementari e paralleli quando si presentano diversi gradi e tipi di incertezza. Damasio (1995) parla, in termini evocativi, di ragion pratica e ragion pura, riservando alla prima le scelte di carattere personale e sociale. L’economia comportamentale, tuttavia, è particolarmente interessata al possibile conflitto fra le motivazioni razionali con altre motivazioni, e di conseguenza agli ostacoli alla massimizzazione del benessere, secondo quanto predetto dalla teoria classica della scelta (Loewenstein ed al. 2001; Kahneman 2003).

Questo problema può essere visto però in una prospettiva molto diversa se si considera la dinamica di indebolimento dell’identità inconscia e delle motivazioni affettive vista sopra. Nei casi in cui la motivazione razionale sembra essere vincolata dagli istinti, o, in termini più impressionistici, dai “fattori viscerali”, un elemento fondamentale affinché agiscano questi fattori è il cosiddetto “effetto vividezza” dello stimolo, che prenderebbe il sopravvento sulle alternative di scelta di genere più astratto (Loewenstein 1996; Loewenstein ed al. 2001; Gifford 2002). Su questa base sembrano potersi spiegare anche comportamenti contrari all’edonismo, o addirittura autodistruttivi come l’addiction.

La presenza dell’oggetto dell’addiction, o la vividezza della sua immagine mentale, fa premio sulla prefigurazione dei danni conseguenti l’addiction, ed, eventualmente, sul ricordo di danni già sperimentati. Invece, adottando l’ipotesi dei tre tipi di motivazioni si potrebbe argomentare che questo caso si presenta come l’esito di un processo di indebolimento dell’identità inconscia, e in particolare dell’immagine di sé in rapporto con l’oggetto dell’addiction. L’indebolimento dell’immagine di sé, che ovviamente è negativa, ha due effetti: da un lato, rafforza relativamente l’immagine gratificante dell’oggetto stesso (“effetto vividezza”), e dall’altro indebolisce l’immagine delle conseguenze dannose.

Quindi l’oggetto dell’addiction appare erroneamente come uno stimolo di un istinto, mentre la logica razionale intertemporale appare contrapporsi come una rappresentazione molto astratta, ma anche la sola coerente. Pertanto, un’azione che intenda ridurre l’addiction non dovrebbe tanto insistere sul rafforzamento degli aspetti cognitivi e razionali delle conseguenze dell’addiction, quanto tentare di rafforzare l’identità inconscia dell’individuo addicted, vale a dire contrapporre alla “vividezza” dello stimolo esterno una più forte vividezza dello stimolo interno.

Prof. Maurizio Pugno

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