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Report finanziario "CLASSIC" 10 Maggio 2006

UN ALTRO GIRO DI VALZER

Sul finire della scorsa settimana abbiamo avuto importanti indicazioni circa il futuro dei mercati finanziari.

Proprio venerdì un dato abbastanza debole sul mercato del lavoro ha fornito ai mercati una conferma che probabilmente la Federal Reserve dovrebbe interrompere la lunga serie di aumenti dei tassi a colpi di un quarto di punto al mese. I tassi a breve americani, dopo l'aumento deciso questa sera dal FOMC della Federal Reserve, dovrebbero fermarsi per un po' al livello del 5%. Non sappiamo per quanto tempo, ma Bernanke, che ultimamente ha creato un po' di confusione alternando dichiarazioni ufficiali ed ufficiose di segno opposto, ha trasmesso un messaggio che possiamo sintetizzare per punti:

•  La stretta monetaria fin qui attuata è sufficiente, data l'attuale situazione degli indicatori economici: economia solida e con crescita robusta ma tendente al rallentamento; pressioni inflazionistiche ancora deboli e sostanzialmente sotto controllo.

•  Un ulteriore aumento dei tassi potrebbe portare più danni che benefici, date le implicazioni rialziste sulle rate dei mutui che gli americani hanno abbondantemente sottoscritto, e quelle ribassiste sui mercati obbligazionari (già in ribasso da mesi) ed azionari, che potrebbero terminare il loro ciclo triennale rialzista.

•  Se il programma di riequilibrio è completato, per il futuro occorrerà valutare gli scenari circa crescita ed inflazione che si presenteranno, tenendo ovviamente conto che se le pressioni sui costi provocate dagli aumenti dei prezzi delle materie prime dovessero inasprirsi, tutto andrebbe ridiscusso e magari i rialzi potrebbero riprendere. Saremo quindi tutti, molto più che nel recente passato, appesi ai dati che verranno pubblicati nei prossimi mesi.

Siccome l'interpretazione dell'evoluzione futura dei tassi è il principale elemento che determina in questo momento l'andamento dei mercati obbligazionari ed azionari, il quadro presentato da Bernanke, e confermato dagli ultimi dati macro americani, non poteva che provocare un abbozzo di rimbalzo sui mercati obbligazionari e la prosecuzione del rialzo da parte di quelli azionari, che hanno così trovato il modo, dopo quasi due mesi di congestione molto stretta, di superare l'ostacolo di quota 1315 dell'indice più rappresentativo del mercato azionario USA (SP500). Il segnale di salute si è diffuso rapidamente alle altre principali piazze mondiali, che si sono riportate tutte ai massimi di periodo, ad eccezione del Giappone che deve smaltire qualche eccesso in più.

Il mercato azionario, ottenuto il nulla osta dai tassi di interesse, prosegue perciò nel recupero trascinato al rialzo dagli utili societari, che in America come in Europa continuano ad essere a due cifre, battendo le ipotesi di rallentamento nel primo trimestre fatte dagli esperti.

Gli oltre tre anni di utili in forte crescita hanno ridottto il rapporto P/E (Prezzo/Utili) medio dell'indice americano, nonostante la considerevole crescita delle quotazioni. Basti pensare che mentre al culmine del mercato orso, nel 2002, il P/E dell'indice SP500 raggiunse un picco di 46 a causa del crollo dei profitti, negli anni seguenti si è progressivamente ridotto a 23 nel 2003, 20 nel 2004 e 18 a fine 2005. Il buon risultato delle trimestrali societarie del primo trimestre 2006 ci presenta una borsa americana ancora sostanzialmente non cara, specie se consideriamo che la media storica del P/E degli ultimi 25 anni si pone a quota 23.

Insomma, tutti questi numeri ci dicono che se i costi di produzione si mantengono sostenibili ed i tassi non ricominciano a salire, c'è ancora spazio per un ulteriore giro di valzer sulle borse, anche se tutti sono coscienti che quel che resta da prendere non è molto se raffrontato a quel che i mercati azionari hanno già dato.

Un'altra grossa conseguenza che il chiarimento sui tassi di interesse ha fornito ai mercati riguarda quelli valutari. In particolare il cambio euro-dollaro ha risolto al rialzo la sua fase sostanzialmente laterale che durava da circa un anno e, violando la trend line ribassista che identificava il movimento correttivo dai massimi assoluti a oltre 1,36 del dicembre 2004, è arrivato a testare una prima resistenza a quota 1,28, oltre la quale porrà le basi per un ritorno in prima battuta a 1,31 e successivamente a ritestare i precedenti massimi.

Perché la fine (provvisoria) del rialzo dei tassi americani danneggi il dollaro è presto detto. Tutta la ritrovata forza del dollaro dell'ultimo anno e mezzo è stata causata dall'aumento dello spread esistente tra tassi a breve americani ed europei. Il dollaro partiva nel 2004 da uno spread di -1% (tassi USA all'1% e quelli europei al 2%). Con la serie di ben 16 rialzi consecutivi da un quarto di punto in America e soltanto due in Eurolandia lo spread ha raggiunto quota 2,5% a favore degli impieghi in dollaro. E' chiara la convenienza ad investire a breve in Usa anzichè in Europa.

Ora però lo scenario sta cambiando poiché se la Fed si fermerà per qualche mese, non altrettanto farà la Bce, che intende proseguire la propria politica di riequilibrio dei tassi portandoli probabilmente al 3% nei prossimi mesi. In tal modo si prefigura un futuro restringimento dello spread, a danno degli impieghi in dollari, che quindi attraversa un periodo di scarsa vena.

A dire il vero ci sono anche alcuni altri cambiamenti, più strutturali e di lungo periodo, che cominciano ad intravedersi e che potrebbero avere sul dollaro e sul suo ruolo centrale nel sistema monetario mondiale conseguenze di ampia portata. Ma per motivi di spazio dobbiamo rinviarne l'analisi alla prossima settimana.

FOCUS MACROECONOMICO

I movimenti che negli ultimi giorni si vedono sui principali mercati sono dettati prevalentemente dal tentativo di rispondere ai possibili scenari futuri relativi ai tassi di interesse.

E' questa di gran lunga la variabile che sta guidando i mercati obbligazionari e valutari, ma anche quelli azionari.

Ogni dato macroeconomico che viene pubblicato è interpretato quasi esclusivamente alla luce del suo impatto sulla politica monetaria futura, proprio a causa del fatto che le banche centrali hanno affermato in lungo e in largo che le future mosse sui tassi saranno strettamente dipendenti dai dati.

Questa chiave di lettura conduce quindi i mercati obbligazionari ed azionari a trarre indicazioni positive dai dati economici più deboli del solito, quando escono, proprio perché un ipotetico rallentamento nella crescita rende meno impellente la prosecuzione della politica monetaria restrittiva. Venerdì scorso il sempre atteso dato sulla creazione di posti di lavoro in Usa, considerato molto importante per anticipare le possibili mosse di Bernanke, ha evidenziato una creazione di occupati piuttosto inferiore agli attesi 200.000 posti. Subito è stata presa in considerazione l'ipotesi che allora la Fed avrà un motivo in più per concludere la serie di rialzi consecutivi dei tassi ed iniziare un periodo più o meno lungo di riflessione. L'eventualità ha consentito al mercato obbligazionario di respirare un po' e fermare la discesa delle quotazioni, mentre l'azionario ha potuto assaporare appieno i dati positivi che vengono dalle trimestrali societarie USA senza dover continuamente fare i conti con le aspettative di tassi crescenti. L'indice USA SP500 ha così potuto applicare il detto "tanto peggio, tanto meglio" e sfondare i precedenti massimi, dando un segnale rialzista piuttosto importante ed ambizioso, che si è subito trasmesso a tutti gli altri principali mercati azionari del pianeta.

Tassi fermi non fanno certo bene al dollaro nel suo rapporto con l'euro, specialmente se si considera che in Europa la politica della BCE sembra orientata a proseguire il rialzo graduale dei tassi. Trichet sta preparando il mercato ad un rialzo forse anche piuttosto eclatante entro giugno, giustificandolo con i segnali che provengono dagli indicatori di crescita e di inflazione dell'area euro, piuttosto tonici, a differenza di quelli americani che autorizzano a pensare ad un rallentamento del ritmo.

La riduzione dello spread tra i tassi Usa e quelli europei fornisce perciò nuova forza all'euro, e si aggiunge agli altri motivi di preoccupazione che gravano sul dollaro, sempre più in difficoltà a compensare gli squilibri della bilancia commerciale con afflussi di capitali, se i tassi dovessero essere meno allettanti che nel recente passato.

L'euro ha così potuto inerpicarsi ampiamente oltre il livello di 1,27 dollari, mostrando così di voler nuovamente puntare a quell'area di 1,30 che riaprirebbe la strada verso i massimi di fine 2004.

La seconda settimana di maggio non abbonda di dati. Degno di particolare menzione, oltre all'annuncio del FOMC sui tassi di mercoledì, è il dato sulla bilancia commerciale Usa di venerdì, per i suoi riflessi sul dollaro.

Pierluigi Gerbino

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