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Report finanziario "CLASSIC" 14 Febbraio 2006

SENZA BUSSOLA

Sono giorni di grande indecisione sui mercati azionari di tutto il mondo. Gli indici, soprattutto quelli americani, subiscono svarioni seguiti subito da recuperi e da nuove scivolate, senza staccarsi mai troppo dai massimi. Gli esperti la chiamano "volatilità", ad indicare che tutto sommato si tratta di un semplice disturbo, come il vento che scompiglia i capelli ma non è in grado di fermare la marcia dei mercati. Può darsi che sia così, anche se l'esperienza ci indica che le inversioni di ciclo sono sempre precedute da una fase più o meno lunga di volatilità.

D'altra parte non basta la semplice perdita di direzionalità a dimostrare la fine della corsa dei mercati, poiché potrebbe effettivamente trattarsi di una semplice pausa per ripulire il mercato dagli eccessi accumulati e ritrovare nuovi temi rialzisti.

Un dato sicuro è che i mercati USA, attualmente i più incerti, hanno saputo tenere i livelli di supporto indicati la scorsa settimana (1260 per SP500, testato ma non perso).

L'impressione che traggo dal comportamento degli operatori del mercato in questi giorni è quella dell'incredulità circa i dati che stanno arrivando dal contesto macroeconomico, che sono in contraddizione con il quadro delineato dalla Federal Reserve nei suoi ultimi interventi dell'era Greenspan e con le convinzioni della maggioranza degli economisti.

Lo scenario economico più accreditato prevede per l'anno in corso una crescita ancora molto solida per l'economia USA, ad un tasso annuo più vicino al 4% che al 3 in un contesto di inflazione sotto controllo. Tutto sommato una situazione ideale per la prosecuzione del trend rialzista sui mercati azionari e per la stabilità sostanziale delle quotazioni sul mercato obbligazionario.

A mettere in discussione queste attese è venuto il dato preliminare sul PIL del 4° trimestre molto inferiore al previsto ed il fenomeno dell'inversione della curva dei tassi, che si è ripetuto più volte sui mercati obbligazionari.

Entrambi i fenomeni depongono per un drastico cambiamento del panorama economico in senso recessivo.

Ma i mercati azionari stanno snobbando tale lettura e non la ritengono credibile.

Infatti si motiva il pessimo dato sulla crescita con una fortuita convergenza di specificità statistiche difficlmente ripetibili in futuro. Si ritiene insomma che il brutto dato rifletta più una bizzarra concomitanza di stranezze che una reale rappresentazione di una economia in crisi. Pertanto quasi tutti gli esperti si sono affrettati a cofermare per il trimestre in corso previsioni di rapido assorbimento dell'anomalia e di ritorno ai ritmi di crescita superiori al 3%. L'inversione dei tassi viene invece spiegata come una prova che effettivamente l'inflazione non fa paura e che ci si attende la fine della politica restrittiva della Federal Reserve ed un ritorno in futuro a tassi più bassi, per cui sulle scadenze più lunghe si possono pagare tassi più bassi di quelli a breve.

Inoltre si sostiene che la "colpa" dell'ingordigia del mercato di titoli a lungo termine sia da attribuire al proliferare dei fondi pensione che investono a lungo termine e fanno incetta di titoli di lunga durata.

Se queste ipotesi saranno confermate dalle rilevazioni sul trimestre in corso è possibile che il 2006 termini ancora una volta in gloria, come i tre che lo hanno preceduto. D'altra parte in USA va di moda una cabala che recita: "l'anno va come gennaio", intendendo che se il mese di gennaio i mercati salgono anche l'anno chiuderà positivamente, e viceversa. Il mese di gennaio dell'indice SP500 si è chiuso con un +2,55%, per cui...

Sarà quindi sufficiente attendere il mese di aprile, quando avremo le stime relative al primo trimestre 2006 e le trimestrali delle società che esporranno l'andamento dei loro profitti.

Se però malauguratamente i dati saranno brutti come quelli che li hanno preceduti è assai probabile che il mercato prenda atto drasticamente di un cambio di prospettiva e molti scappino a gambe levate lasciando i soliti ultimi arrivati col cerino in mano.

FOCUS MACROECONOMICO

I dati macroeconomici degli ultimi giorni sono stati pochi ma abbastanza negativi e confermano la fase di difficoltà dell'economia americana che si è manifestata da qualche settimana.

Anche il dato sulla bilancia commerciale è stato peggiore delle attese ed ancora ostinatamente superiore a quota 65 miliardi di dollari di saldo negativo. Il 2005 si chiude così con un deficit commerciale complessivo di oltre 725 miliardi di dollari, in aumento del 17,5% rispetto all'anno precedente. Quel che impressiona, vedendo l'andamento del saldo commerciale in questi 5 anni del terzo millennio, è il forte e chairo trend in peggioramento. Il deficit nel 2001 era poco più di metà dell'attuale ed è peggiorato ogni anno.

E' in particolare il saldo bilaterale con la Cina quello che ha subito nell'ultimo anno il peggioramento più consistente, aumentando del 25% e costituendo ormai oltre un quarto del deficit complessivo. Ad onor del vero il peggioramento ha riguardato un po' tutte le aree.

Se la competitività USA non migliorerà è difficile essere ottimisti sulla forza del dollaro, che in questo inizio di anno ha mostrato qualche muscolo, ma che è totalmente dipendente dagli afflussi di capitali stranieri negli USA.

I giorni scorsi hanno mostrato qualche segnale di nervosismo nel trend rialzista delle materie prime, che hanno accusato qualche consistente presa di beneficio, in particolar modo oro e petrolio, nonostante che dal fronte geopolitico la ripresa dell'attività nucleare dell'Iran getti più di qualche preoccupazione.

Dalle trimestrali sono venurti ancora segnali in chiaroscuro. Non mancano società ancora brillanti quanto ad utili e fatturato, in grado di battere le stime degli analisti, ma nemmeno quelle deludenti, soprattutto nel settore tecnologico.

La settimana corrente si presenta molto ricca di appuntamenti macroeconomici, mentre la stagione delle trimestrali societarie volge al termine. Segnalo soprattutto i due appuntamenti di Bernanke con il Parlamento americano (mercoledì e giovedì), che non mancheranno di pesare sui mercati in quanto rappresentano i primi discorsi ufficiali dell'erede di Greenspan. Inoltre mercoledì arriverà la batteria di dati sulla produzione industriale americana e venerdì i prezzi alla produzione USA, in grado di anticipare l'andamento dei prezzi al consumo che usciranno la settimana successiva.

Pierluigi Gerbino

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