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Report finanziario "CLASSIC" 29 Marzo 2006

QUALCOSA PUO' ANDARE STORTO

E' passata una settimana ed i mercati azionari sono all'incirca al livello di otto giorni fa.

Si conferma così l'importanza strategica delle resistenze che abbiamo da tempo individuato, proprio come crocevia in grado di dirigere il mercato nei prossimi mesi.

La scorsa settimana abbiamo delineato l'ipotesi ottimistica, individuando quali fattori potrebbero riportare gli indici di borsa ai massimi assoluti e magari oltre.

Tuttavia questo non è che uno dei due possibili esiti.

Dobbiamo oggi prendere in considerazione l'ipotesi meno favorevole, cioè che gli indici non riescano a superare i livelli strategici per poi iniziare una correzione profonda, e chiederci he cosa potrebbe provocare questo scenario.

Innanzitutto definiamo dove potrebbero arrivare gli indici se incominciassero il loro movimento ribassista. L'ipotesi correttiva di medio-lungo periodo minimale porta a considerare l'area 1120 per SP500 come primo punto d'approdo. Un ulteriore appesantimento porterebbe a 1050, mentre 1000 sarebbe il livello minimo al di sotto del quale bisognerebbe scartare l'ipotesi di semplice correzione, per constatare il ritorno di un mercato orso di primaria importanza, in grado di farci rivedere quota 800.

Che cosa potrebbe giustificare tale scenario? Dal punto di vista macroeconomico, anche se le cose stanno andando piuttosto bene per l'economia mondiale, che sta collezionando tassi di crescita record, fa meditare la struttura dei tassi di interesse in USA, che vede una curva dei rendimenti impliciti in base alla durata assumere una tipica fisionomia invertita, con i rendimenti a breve sostanzialmente uguali o addirittura maggiori di quelli a lungo termine. Un ulteriore elemento di perplessità circa la sostenibilità della crescita americana è dato dal continuo aumento dei tassi a breve, quelli che vengono usati per determinare le rate dei mutui a tasso variabile. Se continuerà ancora l'aumento che ha portato questi tassi dall'1% di 2 anni fa all'odierno 4,75% molti consumatori americani, che non risparmiano nulla, ma che anzi utilizzano ampiamente mutui e credito al consumo per finanziare il loro benessere, troveranno difficoltà crescenti a rimborsare i propri debiti.

Se poi dovesse capitare un marcato rallentamento del mercato immobiliare e magari una discesa consistente dei prezzi delle abitazioni, prevista da molti e secondo qualcuno già agli inizi, molti dovrebbero addirittura rientrare per parte del loro debito a causa della diminuzione della garanzia. Potrebbe quindi verificarsi un rallentamento significativo sui consumi a causa di queste crisi finanziarie.

Il pericolo dello scoppio della bolla immobiliare si aggiunge ad altri consistenti possibili problemi di origine geopolitica. Se dovesse aggravarsi il confronto tra Usa e Iran fino a giungere ad esiti bellici si avrebbe uno shock notevole su tutto lo scacchiere medio-orientale e di conseguenza sulle forniture di petrolio, con conseguenze inflazionistiche e recessive ora soltanto immaginabili.

Un altro punto critico all'interno del sistema finanziario mondiale è il ruolo del dollaro come moneta centrale nel sistema dei pagamenti e della Federal Reserve come emittente di ultima istanza nel sistema monetario internazionale basato sul "dollar standard".

Gli Usa godono di un particolare status che deriva dal poter liberamente emettere dollari che vengono accettati da tutti poiché l'80% dei pagamenti internazionali avviene in quella valuta. Ciò consente loro di indebitarsi liberamente e pagare in dollari senza bisogno di avere alcun riscontro di attività reali a garanzia delle banconote stampate.

Tale situazione ha consentito agli americani in questi anni di spingere i loro deficit gemelli (quello del bialncio federale e quello della bilancia commerciale) a livelli record, ma, siccome il risparmio interno è negativo, li espone al possibile ricatto da parte di quei paesi (Cina e Giappone innanzitutto) che in questi anni hanno investito i loro copiosi surplus commerciali in titoli di stato americani. E' vero che non è interesse di nessuno porre fine a questo sistema, poiché il crollo della fiducia negli Usa causerebbe il deprezzamento del dollaro e pertanto un impoverimento anche dei detentori di attività in dollari. Tuttavia se venisse a crearsi la convinzione da parte di qualcuno che il sistema monetario attuale ha i mesi contati e che dovrà essere sostituito da qualche altro meccanismo valutario che ridimensioni il ruolo americano e riconosca i mutamenti avvenuti sullo scacchiere geopolitico ed economico mondiale, potrebbe realizzarsi il classico fenomeno del si salvi chi può, con vendite generalizzate di dollari e titoli americani e conseguente crollo finanziario sistemico. Ci sono osservatori americani che hanno affermato recentemente che la demonizzazione del'Iran da parte dell'amministrazione Bush, che assomiglia sempre più al remake del film che abbiamo visto nel 2002 nei confronti di Saddam Hussein, sia dovuta al pericolo finanziario più che al pericolo atomico. Infatti nell'entourage di Bush si sta guardando con enorme preoccupazione all'intenzione, promossa dall'Iran e spalleggiata dal Venezuela di Chavez (altro principe del male secondo Bush), di creare una borsa alternativa del petrolio con quotazioni non imperniate sul dollaro, ma su altre valute. Già solo il fatto che se ne parli, e che la Cina guardi con un certo interesse all'ipotesi, fa traballare il trono del dollaro come sovrano del sistema monetario mondiale.

Infine vi è l'aspetto ciclico, legato al ritmo che i mercati azionari tendono ad assumere nel loro andamento.

Sul mercato americano è abbastanza frequente assistere a cicli rialzisti quadriennali. Cioè dopo 3-4 anni di rialzo viene quasi sempre una correzione superiore al 15%. Questo andamento si può osservare sull'indice Dow Jones dal 1932 con una certa costanza. Le due eccezioni più significative, dovute ad un prolungamento del rialzo oltre i 4 anni sono avvenute nel 1982-87 (5 anni) e nel 1995-1999 (anche qui 5 anni). Sarà un caso ma questi eccessi sono stati seguiti dai due maggiori crolli della storia recente (l'ottobre nero del 1987 ed il crollo del 2000). E' il caso di ricordare che il rialzo in corso compirà 4 anni il prossimo ottobre?

FOCUS MACROECONOMICO

I pochi dati macro previsti la scorsa settimana non hanno fornito spunti significativi. L'inflazione alla produzione USA è stata superiore alle attese, ma anche gli ordini di beni durevoli.

Più significativo è stato l'intervento di Bernanke, che ha continuato a profondere ottimismo ai mercati azionari, affermando che il sentiero di forte crescita dell'economia USA può proseguire. A suo parere l'inversione della curva dei tassi USA non riflette necessariamente ipotesi macroeconomiche recessive, poiché potrebbe essere determinata dall'abbondanza di richieste di titoli a lungo termine, dovuta sia ad eccesso globale di risparmio che a manovre di banche centrali straniere (leggasi Cina che compra a man bassa i TBond).

Inoltre a deprimere i tassi contribuisce l'inflazione bassa e una generale riduzione del premio al rischio, che è un effetto positivo sull'attività economica.

Bernanke non mostra di temere neppure gli effetti sulla crescita di un rallentamento dell'attività immobiliare.

Il risultato di tali convinzioni dovrebbe portare nella riunione di martedì prossimo ad un sicuro rialzo dei tassi, che andrebbero così al 4,75%, che sarà seguito da un ulteriore ritocco al 5% entro giugno. Poi i giochi si faranno osservando attetamente quanto ci diranno nel frattempo gli indicatori economici.

La BCE dovrebbe seguire la FED probabilmente fin da aprile, procedendo ad un ulteriore ritocco al 2,75%.

In Europa gli esperti continuano a confidare in una manovra che dovrebbe raggiungere certamente il 3% entro fine anno. Qualcuno ipotizza addirittura il 3,25%.

Nei prossimi giorni non mancano dati di un certo rilievo ed in grado di influenzare i mercati.

Segnalo la Riunione Fed di martedì, l'ultima stima del PIL USA giovedì e la serie di dati prevista per venerdì relativa alla fiducia dei consumatori e degli imprenditori.

Pierluigi Gerbino

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