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Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

Ottobre 1929

Il crollo del ’29 e la grande depressione che ne seguì rimarrano per sempre un capitolo forte e indelebile della storia al pari delle guerre mondiali tra le quali si manifestò. In particolare si deve pensare che dopo la prima guerra mondiale l’America aveva ritrovato una spinta economica che poggiava sul nuovo boom immobiliare, e sull’ottimismo infuso dal governo repubblicano di Calvin Coolidge. Naturalmente l’ennesima riscoperta del credito e le innovazioni finanziarie fornirono carburante necessario a far ripartire l’iniziativa economica inibita dalla recessione del 1921.

Gli immobili della Florida, su cui si concentrava la speculazione di quegli anni, potevano essere acquisiti con solo il 10 percento di contanti. In questo contesto nacquero le vicende del celebre Charles Ponzi, truffatore passato alla storia per aver messo appunto il cosiddetto “Schema Ponzi”, consistente nel pagare alti dividendi a degli investitori utilizzando i soldi versati da un secondo gruppo di investitori, dando a questi ultimi i soldi versati da un terzo gruppo più grande ancora, attirato dagli alti rendimenti dei gruppi precedenti, e così via fino a che con i soldi dell’ultimo numeroso gruppo ci si dà alla fuga.

I corsi delle azioni cominciarono a salire a partire dal 1924, nel cuore dei “ruggenti anni ’20”, anni solari a quanto pare, nei quali Fizgerald scrisse “The parties were bigger...the pace was faster...the shows were broader, the buildings were higher, the morals were looser and the liquor was cheaper”.

Nel 1926 ci fu una piccola battuta d’arresto, in corrispondenza della crisi in cui nel frattempo era culminata la speculazione immobiliare, ma immediatamente dopo i corsi azionari ripresero la loro salita in una scia di ottimismo che non lasciava presagire minimamente l’eventualità di un crollo. Effettivamente il progresso tecnologico aumentava facendo intravedere una nuova era di benessere e di consumi elevati. Si passò in quegli anni all’elettricità nelle abitazioni, e dagli 8,1 milioni di automobili registrate negli Stati Uniti nel 1920, si passò a 23,1 milioni nel 1929.

Lo stesso Irving Fisher, illustre professore di Yale, era convinto che la borsa avesse raggiunto “un alto livello permanente” Eppure il crollo ci fu. E ad esso seguirono fallimenti, depressione e disoccupazione. Lunedì 21 ottobre fu il primo giorno di incertezza, cui seguì una settimana di forti realizzi. Le istituzioni, come accadde negli episodi passati, cercarono di promuovere atteggiamenti e precauzioni tranquillizzanti, ma la settimana successiva aprì con un tonfo: il Dow Jones perse il 12.8% il 28 ottobre e ancora, il giorno dopo, l’11.7%. Ma il motivo che spinse tante persone a vendere non è del tutto chiaro, dal momento che nessun avvenimento, e nessuna notizia preoccupante erano noti in quei giorni.

Figura 1: Il crollo del DJIA. Fonte: Yardeni.com.

Il fatto che le aspettative fossero rosee circa il futuro è intuibile dall’analisi del rapporto Prezzo/Utili delle azioni dell’epoca. Tale rapporto (Ratio), di cui si parlerà più diffusamente nella terza parte di questo lavoro, indica quanto caro viene pagato un titolo tenendo conto della sua capacità di generare reddito. Shiller (2000) ci racconta che nel periodo 1921-1926 effettivamente gli utili quadruplicarono, giustificando in parte l’ottimismo sui prezzi. Anche se un’analisi grafica dei rendimenti successivi suggerisce che le aspettative legate alla redditività futura incorporata allora nei prezzi correnti sarebbe andata delusa.

Figura 2. Fonte: Robert J. Shiller, Irrational Exuberance.

Nella figura 2 viene rappresentato un diagramma fatto da Shiller, in cui vengono messi in relazione i coefficienti P/E (Price/Earning) relativi agli anni dal 1881 al 1989 con il rendimento dei dieci anni successivi. Come si vede il 1929 è rappresentato da un punto che si distacca a destra rispetto agli altri indicando un rapporto Prezzo/Utili particolarmente alto ed un conseguente basso rendimento. Una caratteristica interessante di questo diagramma consiste nel delineare una certa relazione negativa tra P/E e rendimenti futuri, come se le valutazioni eccessive ricorressero appunto in periodi antecedenti una correzione del mercato. In realtà il campionamento effettuato da Shiller, proprio perché considera grandezze medie, non consente di apprezzare il crash successivo al 1929, reso senz’altro più evidente dalla Figura 1.

Dai livelli massimi del 29 fino al giugno del 1932, la borsa perse oltre l’86 percento, ed il prodotto interno lordo, come nota Bernstein, in quest’anno era del 55% inferiore al picco del 29, ovvero anche più basso di quanto non fosse sceso durante la breve recessione del 1920[8]. Al contrario di quanto era avvenuto precedentemente, la grande depressione degli anni trenta, contagiò i mercati di tutto il mondo, manifestando per la prima volta i caratteri dei crolli mondiali cui successivamente i paesi occidentali avrebbero dovuto abituarsi, in altre occasioni, come negli anni settanta, nell’ottobre dell’87, e infine all’indomani dello scoppio della recente bolla del Nasdaq. Nella tabella 1 è possibile vedere la tabella che raccoglie lo studio di Bryan Taylor (1996) sulla diffusione del crollo del 29 nelle principali borse mondiali.


8 Bernstein, Peter L. Against the Gods: the remarkable story of risk. New York: Wiley & Sons, Inc. 1998.

Marco Primavera

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