Home > Doc > Report FINANZIARIO "CLASSIC" > 15 Novembre 2005

Report finanziario "CLASSIC" 15 Novembre 2005

SUPERDOLLARO RINGRAZIA. TREMONTI

La scorsa settimana è stata caratterizzata da una apparente assurdità sui mercati finanziari. Proprio quando è stato pubblicato il nuovo record del deficit commerciale americano (oltre 66 miliardi di dollari al mese, il 6% del PIL su base annua) il cambio euro-dollaro ha infranto un importante supporto e sancito un nuovo trend di rafforzamento del biglietto verde.

Chi ricorda anche soltanto un anno fa, quando disavanzi appena superiori ai 50 miliardi di dollari al mese erano in grado di spingere l'euro a nuovi records, o chi guarda alla teoria economica, che afferma che in regime di cambi flessibili i deficit commerciali provocano la svalutazione della moneta del paese in deficit, non può che rimanere di stucco per questa incongruenza.

Eppure i motivi per spiegare il superdollaro di questi giorni non mancano, a cominciare dal fatto che nel moderno sistema economico mondiale, globalizzato e superfinanziarizzato, il peso delle transazioni commerciali sull'insieme dei movimenti valutari quotidiani equivale più o meno al 10%.

Tutto il resto non dipende dal commercio ma dai movimenti di capitale, per lo più finanziario. Basta quindi che il deficit commerciale venga compensato da flussi finanziari diretti agli Stati Uniti e provenienti dal resto del mondo per rendere compatibile deficit commerciale e superdollaro. Non dimentichiamo infattti che di questi tempi i flussi netti di capitali in America superano i 90 miliardi.

Quale sia il motivo di tanto appeal del dollaro è presto detto. Cinesi e petrolieri trovano conveniente mantenere i loro surplus commerciali in dollari: i primi per impedire una troppo rapida rivalutazione del yuan, che potrebbe dare qualche fastidio ai loro vantaggi competitivi nel commercio mondiale, i secondi poiché continuano a ritenere assai probabile che il dollaro continui a rimanere la "moneta di riserva" a livello mondiale per molto tempo.

Inoltre i fondamentali economici del sistema americano, in grado di crescere al ritmo del 4% annuo contro l'asfittico 1% previsto quest'anno per l'area euro, e la sua formidabile flessibilità, che nel terzo trimestre ha portato al 4% anche l'incremento della produttività, sono tali da non lasciare dubbi a chi punti ad un investimento diretto di lungo periodo.

Ma c'è un altro motivo contingente: Tremonti ha fatto scuola in USA. L'invenzione di tre anni fa del nostro fantasioso ministro, lo Scudo Fiscale, escogitato per favorire il rimpatrio dei capitali in Italia grazie a sconti fiscali, è stato quest'anno imitato dall'Ammministrazione Bush.

Con il nome di Homeland Investment Act, lo scudo americano prevede che le società che percepiscono utili all'estero possono rimpatriarli usufruendo di consistenti agevolazioni fiscali, a patto che lo facciano entro quest'anno. Siccome le multinazionali americane non sono certo poche si stima che dovrebbero rientrare tra i 100 ed i 300 miliardi di dollari. Questo flusso rappresenta un elemento straordinario e limitato nel tempo, ma in queste settimane fornisce una spinta forse decisiva al dollaro.

Occorre poi aggiungere che proprio la scorsa settimana il differenziale di rendimento dei tassi a breve esistente tra USA ed Europa ha raggiunto un nuovo massimo. In seguito all'ennesimo rialzo dei tassi deliberato da Greenspan i tassi ufficiali americani sono ormai il doppio di quelli europei, mentre l'inflazione cosiddetta "core" è appena superiore a quella europea. Anche da questo punto di vista perciò, almeno fino a quando l'inflazione "core" non decollerà, i rendimenti reali sono favorevoli all'investimento in USA.

Accanto a queste manifestazioni di forza del dollaro non mancano infine gli autogol dell'euro. Infatti da qualche tempo l'area Euro sta facendo di tutto per allontanare gli investimenti stranieri. Oltre alla già accennata difficoltà a crescere, si sono avuti ultimamente segnali di incertezza nell'avanzamento del progetto di Unione. La bocciatura della Costituzione europea è stata l'emblema di questa situazione, ma anche le crescenti difficoltà dei principali paesi (Germania, Francia e soprattutto Italia) a rispettare il sia pur allentato Patto di Stabilità non favoriscono la credibilità dell'Euro.

L'ultima mazzata al prestigio dell'Europa sta venendo dalle rivolte urbane dei giovani marginali che, sviluppatesi dapprima nelle periferie francesi, si stanno diffondendo negli ultimi giorni a macchia d'olio in molte città europee.

C'è quindi spazio per un ulteriore allungo del dollaro nei prossimi mesi verso il livello dapprima di 1,14 e poi magari di 1,10, a meno che nei prossimi mesi non vengano sorprese dall'inflazione "core", la cui rilevazione di ottobre è attesa per mercoledì. C'è molta fiducia da parte degli operatori nella sostanziale stabilità di questo indicatore. Se così non fosse verrebbe a ridursi il vantaggio americano nel differenziale di rendimento reale, specialmente se dalla BCE verranno i primi rialzi dei tassi di interesse sull'euro.

FOCUS MACROECONOMICO

In concomitanza con un pessimo dato sulla bilancia commerciale americana il dollaro mostra i muscoli. La settimana passata si è infatti caratterizzata per questi due fatti tra loro decisamente contradditori.

Il deficit della bilancia commerciale ha travolto ogni precedente record e si è portato nel mese di settembre a 66 miliardi di dollari, ben oltre le previsioni di 61. Viene così dimostrata l'assoluta incapacità di risolvere questo squilibrio che pesa da lunghi anni sull'economia americana. La forte crescita dell'import conferma però anche la buona tenuta della crescita economica e della domanda interna USA. Si spiega così il rialzo delle borse in risposta al dato, dopo un iniziale sbandamento emotivo.

Meno ovvio è il rafforzamento del dollaro, che in settimana ha rotto anche il livello di 1,17 con l'Euro, avviandosi, come abbiamo ipotizzato, verso il suo obiettivo di area 1,14.

Lo scorso anno un dato sul deficit come quello che stiamo commentando avrebbe fatto sicuramente schizzare in altro l'euro, focalizzando l'attenzione dei mercati sulla permanenza dello squilibrio finaziario americano.

Questa volta è successo il contrario, a causa di fatti contingenti che certamente premono nella direzione del dollaro (il rimpatrio di ingenti capitali in USA, l'aumento del differenziale di rendimento a breve delle attività in dollari rispetto a quelle in Euro, la differente crescita economica americana rispetto a quella europea, ancora abbastanza asfittica), ma anche a causa dell'intrinseca perdita di credibilità dell'Unione Europea, che nel 2005 ne sta combinando di tutti i colori: dopo la revisione-annacquamento del patto di stabilità, l'onta della bocciatura della costituzione, la caduta di stile estiva di Fazio, si abbatte ora sull'immagine della costruzione europea anche la guerriglia urbana francese, che certamente non induce a spostare capitali in Europa.

L'altro fatto degno di nota in una settimana che sembrava povera di avvenimenti è il calo del petrolio, dovuto al buon livello delle scorte americane, superiori in ottobre al previsto, nonostante che la produzione nel Golfo del Messico in ottobre sia stata ancora assai rallentata dagli effetti degli uragani. Ha contribuito al ribasso il calo della domanda, dovuto anche ad un autunno abbastanza tiepido.

Anche il calo del petrolio ha dato un po' di tranquillità ai mercati azionari, consentendo di estendere il rimbalzo verso i massimi alle principali borse.

La settimana entrante si presenta molto interessante per chiarirsi un po' le idee sull'inflazione.

E' prevista infatti la rilevazione dell'inflazione americana alla produzione martedì, mentre mercoledì attendiamo il dato al consumo per USA ed Europa. Le previsioni sono tutte per indici dei prezzi fermi nel mese di ottobre, dopo le impennate degli ultimi mesi. Credo però che se arriveranno notizie di peggioramento dell'indice "core" il mercato la prenderà male, anche se l'indice globale dovesse rimanere stabile. La maggior parte degli operatori è infatti convinta che al di là delle oscillazioni del prezzo del petrolio la vera inflazione sia tutt'altro che uno spauracchio. Eventuali sorprese sarebbero perciò in grado di invertire il trend di recupero dei mercati azionari e di dare una ulteriore spallata a quello obbligazionario.

Da segnalare anche i dati sulla produzione industriale ed il grado di sfruttamento della capacità produttiva americana. Segnalo anche martedì limportante audizione di Bernanke al Senato, che tutti seguranno con molta attenzione per cercare di decodificare quel che frulla in testa al futuro custode della Federal Reserve.

Pierluigi Gerbino

Successivo: Borse ai massimi, eccetto la nostra

Sommario: Indice