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La realtà inventata...non dalla psicologia ma dalla. fisica!

Conclusioni sull' esperimento Schródinger

Ispirato dalle scoperte della fisica e dagli antichi insegnamenti, Schródinger giunse alla convinzione che la mente non poteva essere separata dal mondo e messa in una scatola, il cervello.

Né il sé poteva essere messo in un corpo. In ultima analisi, la mente individuale e il sé non sono primari. In linea di principio, non possono essere limitati: sono intrinsecamente parte di un più grande tutto.
Uno dei grandi ed eterni dilemmi sulla natura della mente è questo:

    perché, se ci sono tanti ego coscienti, c'è soltanto un mondo percepito da tutti quanti?

    Perché non un mondo diverso per ciascuna persona?

    Perché non viviamo in una Torre di Babele, ciascuno di noi con una diversa immagine della realtà, incapace di comunicare con gli altri?

    Quale altra alternativa può esserci per spiegare come possa una singola visione del mondo scaturire da menti che appaiono separate?

Schródinger dà questa risposta: "C'è evidentemente una sola alternativa, vale a dire l'unificazione delle menti o della coscienza. La loro molteplicità è solo apparente: in realtà esiste una sola mente". Con queste parole Schródinger ci conduce oltre il primato della persona. La mente non è più localizzata e confinata all'individuo ma è transpersonale, universale, collettiva: ossia è non localizzata.

Schródinger sostiene che esistono validi motivi per credere anche che questa Mente Una sia immortale. Questa conclusione si basa principalmente su nuove concezioni della natura del tempo. Nella moderna scienza fisica, un tempo esterno, un tempo completamente obiettivo in senso lato, non esiste. Assolutamente nulla ci dimostra che il tempo sia l'entità rappresentata nella visione di Newton, e non un solo esperimento ha mai dimostrato che il tempo scorra.

Come abbiamo rilevato, la fisica moderna ha eliminato l'idea del mondo come oggetto, e con essa l'idea del tempo come oggetto. Semplicemente non esiste un mondo esterno, oggettivo, dove potrebbe esistere un tempo esterno, oggettivo. Così, nella fisica moderna non solo mente e mondo vengono sostanzialmente unificati ma anche mente e tempo.
Ora, se mente e tempo sono interdipendenti, sorge questo difficile quesito:

com'è concepibile che il tempo possa distruggere la mente? Schródinger risponde che non può distruggerla: "Io arrivo a definirla [la mente] indistruttibile, poiché possiede una sua peculiare dimensione temporale: la mente, cioè, è sempre adesso. Per la mente non esiste realmente un prima e un dopo.

C'è solo un adesso che comprende ricordi e aspettative. Noi possiamo, almeno così credo, affermare che allo stadio attuale la teoria fisica sembra nettamente suffragare l'indistruttibilità della mente da parte del tempo.Resta il fatto che il tempo non ci appare più come una [forza] gigantesca, dominante il mondo, né come un'entità primaria, ma come qualcosa di derivato dai fenomeni stessi. E' una costruzione del nostro pensiero. Che una simile entità possa un giorno o l'altro mettere fine al mio pensiero, come alcuni ritengono, va oltre la mia comprensione. Perfino l'antico mito fa divorare a Crono soltanto i suoi due figli, non suo padre".

La nostra mente come si manifesta nella vita di tutti i giorni non è, naturalmente, adattata a pensare nei termini di «adesso», ovvero secondo la visione che tanto affascinò Schródinger. Ciò è uno dei motivi per cui preferiamo alle descrizioni atemporali della fisica moderna a quelle lineari, progressive della scienza classica.

Noi semplicemente siamo abituati a esse e, di conseguenza, prendiamo la più sconcertante decisione: optiamo per una visione del mondo che sia totalmente obiettiva e che contenga un tempo inesorabilmente a senso unico; tutto questo a dispetto del fatto che ciò comporta morte e distruzione.

Così noi sterminiamo noi stessi con la nostra concezione del mondo. E' questo un fatto che non può non sbalordirci essendo il tempo una costruzione della nostra mente è difficile comprenderlo se prima non comprendiamo come funziona la mente ma: per poter pensare alla mente è necessario impiegare la mente; bisogna uscire dalla mente.

In questa situazione la mente deve funzionare simultaneamente come soggetto e oggetto. Ma sorge un problema: la mente è allora incompleta perché qualcosa le è stato sottratto, e ciò influirà su qualsiasi osservazione futura su di essa. Eppure, se non si esce dalla mente per osservarla, l'osservazione non è possibile. A causa del processo intrinseco di pensare alla mente con la mente, sia la completezza sia la coerenza del nostro ragionamento sono destinati all'imperfezione.

Questo apparente paradosso non è una considerazione enunciata per confonderci le idee ma bensì il risultato delle considerazioni di due leggi matematiche del più importante matematico moderno: l'austriaco Kurt Godel, dai più descritti come l'Einstein della matematica, con un orientamento leggermente kafkiano.

Stefano Calamita

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