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Sulle dinamiche del ciclo misesiano

Conclusioni preliminari

Nelle sezioni precedenti si è cercato di chiarire come le premesse misesiane alla teoria del ciclo offrano forse spunti per sviluppi più ampi e attuali rispetto a quanto originariamente percepito da Mises stesso, la cui discussione circa le conseguenze dell’emissione di moneta fiduciaria verte solo su una parte del ciclo, trascurando l’economia della crisi e, soprattutto, della depressione - ammesso che di ciclo vero e proprio si possa parlare, poiché la fase che Mises definisce ‘espansione’ in realtà riguarda solo fenomeni monetari (la produzione è per ipotesi costante[23], se non addirittura decrescente a causa delle inefficienze legate alla nuova struttura temporale dell’accumulazione).

Come accennato, sembra allora opportuno riformulare la teoria misesiana del ciclo mantenendo sì l’intuizione wickselliana secondo cui le banche commerciali approfittano del loro potere di signoraggio (almeno temporaneo) e provocano, attraverso l’abbassamento del tasso di interesse reale, un periodo di espansione delle attività di consumo e di investimento; ma chiarendo che il boom si esaurisce quando gli operatori constatano che i loro piani di consumo sono sbagliati perché incompatibili con la frontiera delle possibilità produttive.

Naturalmente, ciò non esclude che la crisi monetaria descritta da Mises - la revisione dei piani di consumo, il generalizzarsi del fenomeno inflazionistico e lo stato di sovra-capacità produttiva - possa provocare sfiducia nei confronti della moneta fiduciaria come mezzo di pagamento; di qui il signoraggio inverso e la crisi di almeno parte del sistema bancario. Nondimeno, quest’ultimo passaggio non va dato per scontato. Non è detto che la crisi di fiducia generata dall’inflazione investa la moneta fiduciaria, ma non quella effettiva[24]. Se la crisi fosse generalizzata si perverrebbe, infatti, alla dollarizzazione dell’economia o addirittura all’adozione fisica di un’altra unità monetaria, nel qual caso le caratteristiche della crisi dipenderebbero dal tasso di cambio fra moneta cattiva e moneta buona, con effetti redistributivi circoscritti alla capacità o meno di prevedere la crisi di fiducia e vendere la moneta cattiva prima della dollarizzazione. Inoltre, non va ignorato che un intervento della banca centrale a sostegno delle banche in crisi di liquidità può evitare sia la deflazione, sia la crisi del sistema.

Piuttosto, l’argomentazione contro l’intervento della banca centrale non è tanto quella secondo cui tale intervento corre il rischio di prolungare il boom, ampliare gli squilibri e dunque la portata della ‘inevitabile’ crisi. L’intervento delle autorità statali va invece scongiurato poiché questo deresponsabilizza le banche commerciali, le quali saranno indotte a emettere quantità illimitate di moneta fiduciaria e di conseguenza a provocare gli squilibri reali che sono il cuore della teoria austriaca del ciclo. Questo spiega perché debba essere per contro incoraggiata la liberalizzazione del sistema finanziario, al fine di consentire alle banche mal gestite di uscire dal mercato e di essere sostituite da attori più solidi e affidabili. È questa del resto l’essenza di un regime di free banking, regime a più riprese auspicato da Mises stesso.


23 Si veda anche Mises (1931 [2002:188], 1936 [1997:20]), ove non si nega che durante il boom i prezzi relativi dei fattori produttivi possano variare; ma si esclude che tali variazioni influiscano sulla quantità di fattori produttivi impiegate.

24 A sostegno della tesi Misesiana si può tuttavia ragionevolmente argomentare che la crisi di fiducia è selettiva se la moneta effettiva è sostenuta da garanzie reali (oro) o se è imposta da un regime di corso forzoso/legale.

Prof. Enrico Colombatto

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