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Report finanziario "CLASSIC" 28 Febbraio 2006

STOP AL DENARO FACILE

Gli ultimi giorni di febbraio hanno confermato sui mercati finanziari azionari quel fenomeno che da qualche tempo si sta verificando con una certa costanza.

Mi riferisco alla maggior forza relativa dei mercati europei rispetto agli indici americani. Infatti mentre gli indici USA, pur proseguendo nel rimbalzo in seguito alle parole ottimistiche di Bernanke, sono riuscite ad arrivare soltanto fino al massimo di gennaio, mentre quelle europee hanno tutte ritoccato abbondantemente i precedenti massimi mostrando una salute invidiabile.

Si è quindi riprodotto il copione che abbiamo più volte visto. Se le borse Usa non scendono l'Europa sale. Se le borse Usa salgono l'Europa vola. Soltanto una discesa dei mercati americani che sia vissuta come fenomeno non estemporaneo è in grado di far correggere i mercati europei.

La cosa si verifica puntualmente ad intervalli di qualche mese ed anche oggi si è vista. Quando le borse europee hano avuto il sentore che gli indici americani non sarebbero stati in grado di superare i precedenti massimi, ma anzi avevano intenzione di ripiegare, sono scattate bordate di vendite in Europa per realizzare i profitti accumulati nel rally che prosegue da ben 4 mesi.

In questi casi le prese di beneficio possono causare scrolloni violenti e repentini e normalmente si attuano in due o tre giornate di forte storno. Poi, raggiunti i supporti, se il trend è ancora solido gli acquirenti rifanno capolino ed il mercato rimbalza, come abbiamo visto a febbraio, aprile, agosto ed ottobre 2005, per stare soltanto agli esempi degli ultimi 12 mesi.

Il fatto che finora il trend rialzista si sia sempre ripristinato tende a generare una certa fiducia negli operatori del mercato. Le correzioni tendono ad essere generalmente interpretate come occasioni di acquisto fino a quando le condizioni economiche generali tendono al bello.

Ci sono buone possibilità che anche questa volta si ripeta il copione, se i mercati crederanno alle parole di Bernanke e soprattutto se la fiducia che ha manifestato sulle sorti dell'economia USA dei prossimi anni verranno confermati dal ritorno a brillanti risultati di crescita economica nel primo trimestre 2006. Al momento è presto per anticipare gli esiti, che probabilmente si avranno in aprile. Tuttavia dai dati che quotidianamente vengono trasmessi ai mercati, che focalizzano alcuni elementi che incidono sul PIL, vengono indicazioni contrastanti, in grado di instillare almeno qualche dubbio ai mercati. Ad innervosire le borse contribuisce la maturità raggiunta dal ciclo rialzista, che potrebbe effettivamente invertire la sua direzione di medio-lungo periodo se ad aprile venissero comunicati tassi di crescita deboli per il secondo trimestre consecutivo.

Decisamente più positivi sembrano invece le indicazioni macroeconomiche provenienti dall'Europa e dal Giappone.

Entrambe le aree vengono da un prolungato periodo di stagnazione (l'Europa) o di recessione (il Giappone).

In queste settimane si stanno finalmente accumulando indicazioni positive circa un'accelerazione della crescita in entrambe le aree. La BCE ha manifestato nei giorni scorsi un certo ottimismo ed accreditato le ipotesi che nella riunione di giovedì prossimo venga rivista al rialzo la previsione di crescita dell'area Euro per l'anno in corso. Inoltre viene dato per certo un ulteriore ritocco al rialzo di un quarto di punto del tasso Refi (il nuovo nome del vecchio tasso ufficiale di sconto). Sarebbe in tal caso il secondo rialzo e manifesterebbe l'intenzione di rimuovere, sia pur gradualmente, lo stimolo monetario sulle economie europee.

I prezzi dei contratti futures su tassi stanno addirittura scontando per fien anno l'arrivo a quota 3%.

Anche dalla Banca Centrale Giapponese sta segnalando in modo incontrovertibile la svolta di politica monetaria. Il tasso di crescita dell'economia sta accelerando anche più che in Europa, al punto che si prevede per l'anno in corso una crescita vicina al 3%. Anche le attese sull'infalzione per la prima volta sembrano orientate alla positività e si pensa che venerdì prossimo il tasso annuo di crescita dei prezzi finalmente si staccherà da valori negativi o nulli. Curiosamente in Giappone da anni hanno il problema opposto a quello degli occidentali. Laggiù il lungo periodo di deflazione che ha accompagnato la recessione ha spinto gi economisti a vedere l'inflazione come unabenedizione del cielo, in quanto sintomo di una chiara e consolidata ripresa economica.

Pertanto anche nel paese del sol levante vedremo la Banca Centrale alzare per la prima volta il tasso dal livello attuale di 0,10%. Il primo ritocco sarà più che altro simbolico ma rivelerà l'inizio di una svolta.

Quali conseguenze possiamo trarre da questi due eventi è presto detto.

•  Starei attento a seguire l'andamento delle posizioni obbligazionarie a reddito fisso in area euro e Giappone, poiché è presumibile che si alzi tutta la curva dei tassi, con conseguente calo dei prezzi obbligazionari.

•  Terrei d'occhio il dollaro, nel senso che la finestra temporale favorevole al dollaro, dovuta all'allargamento del differenziale tra i tassi americani e quelli europei e giapponesi, che abbiamo visto per parecchi mesi, potrebbe presto chiudersi per far spazio ad un ritorno di forza dei suoi antagonisti. Eviterei quindi di posizionarmi sul dollaro, preferendo piuttosto optare per la nostra moneta.

FOCUS MACROECONOMICO

La spasmodica attesa di dati macroeconomici in grado di risolvere la forte discrepanza di opinioni tra esperti circa il futuro dell'economia USA, si è arrichita venerdì scorso di una misteriosa rilevazione relativa agli ordini di beni durevoli, che ha accentuato la suspance e l'incertezza interpretativa. Infatti il dato globale relativo a gennaio ha evidenziato un fortissimo calo, di oltre il 10% rispetto al mese precedente. Tuttavia il dato depurato degli ordini relativi al settore trasporti è stato in aumento rispetto al mese precedente, anche se leggermente inferiore alle attese. Gli esperti, dopo uno sbandamento dei mercati europei (il dato è uscito alle 14,30, quando Wall Street era ancora chiusa) si sono precipitati a spiegare tutto (come sempre col senno del poi) classificando la discrepanza come assolutamente eccezionale e motivandola con il fortissimo calo degli ordini di aerei, dovuto allo sciopero dei dipendenti Boeing. L'altro dato strategico uscito in settimana è stato l'indice dei prezzi al consumo americano. Il dato globale è stato piuttosto rilevante e superiore al previsto (+0,7% sul mese precedente contro l'atteso +0,4%) però anche qui l'indice depurato delle componenti volatili (energia ed alimentari) ha mostrato un andamento più tranquillo (+0,2%) ed in linea con le stime degli esperti.

Possiamo perciò affermare che la situazione permane sostanzialmente sotto controllo, grazie allo strattagemma di calcolare indici depurati da quel che può guastare la festa. Gli economisti americani assomigliano sempre più a quegli studenti che pur sbagliando i calcoli alla fine riescono sempre a trovare il risultato esatto del problema.

Finora il professor mercato sembra sorvolare e non correggere i dettagli del compito, tuttavia non sappiamo fino a quando si potrà continuare questo gioco di guardare soltanto le cifre che fanno comodo, come fanno i politici esaminando i sondaggi elettorali.

Decisamente più univoci sono invece i dati che riguardano l'Europa ed il Giappone, dove le indicazioni prevalenti sono per un consolidamento ed un ampliamento della crescita economica, che spingeranno le rispettive banche centrali ad alzare progressivamente i tassi.

La settimana corrente prevede abbondanza di dati macro, mentre sta terminando la serie di comunicazioni societarie trimestrali relative all'ultimo quarto del 2005.

Tra le notizie più rilevanti segnalo i dati provenienti martedì dagli USA, i due indici ISM americani (mercoledì e venerdì), e le due rilevazioni sulla fiducia dei consumatori Usa (martedì e venerdì). Infine per l'area euro giovedì è atteso il ritocco dei tassi di un quarto di punto da parte della BCE.

Pierluigi Gerbino

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