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Report finanziario "CLASSIC" 31 Maggio 2005

SCHIAFFO ALL'EURO

La settimana in corso sui mercati finanziari sarà certamente ricordata come quella del post-referendum.

I mercati stanno infatti decifrando le possibili conseguenze del forte segnale di discontinuità nel processo di unificazione economica e politica dell'Europa fornito dal referendum francese. Le dimensioni della sconfitta del fronte europeista rappresentato dai favorevoli alla nuova Costituzione dell'UE sono così forti e chiare da rendere difficile ogni futuro tentativo di recupero del consenso popolare sul progetto costituzionale. Le conseguenze politiche interne in Frsancia sono state perciò immediate, con le dimissioni del premier Raffarin e l'indebolimento politico di Chirac. Il NO francese fornisce poi un pericoloso precedente per le consultazioni future previste in altri paesi, a cominciare dal referendum olandese di domani.

E' vero che tecnicamente si tratta di un semplice stop che comunque non mina la situazione giuridica esistente, regolata comunque fino al 2009 dal trattato di Nizza attualmente in vigore. Inoltre la Costituzione dovrà essere ridiscussa se ben 5 stati dovessero bocciarla, non certo per una sola bocciatura. Però è fuori discussione che essa rivela uno scollamento tra le decisioni prese dai politici ed il sostegno popolare. Nel ceffone assestato al progetto europeo si scaricano tutte le tensioni ed i mal di pancia popolari contro l'euro, vissuto come fonte di guai anziché come manifestazione di potenza economica, e contro il processo di globalizzazione dell'economia, che suscita paura ed insicurezza e fornisce appiglio a ogni demagogia e xenofobia nazionalistica.

Economicamente la mia impressione è che nessuno riesca al momento a capire le conseguenze che si potrebbero avere sui mercati finanziari e valutari. Sebbene da settimane i sondaggi parlassero della vittoria dei NO come di un evento probabile, la mia impressione è che suoi mercati e negli atteggiamenti degli operatori si sia manifestata una sorta di incredulità fino al giorno del referendum.

Quando l'evento si è concretizzato i mercati ci hanno messo addirittura un giorno a farsi un'idea sul da farsi ed hanno atteso l'apertura oggi delle piazze londinese e americana, chiuse lunedì per festività, prima di imbastire qualsivoglia reazione, ammutoliti ed impietriti dal dubbio.

La reazione odierna, sia pure a scoppio ritardato, è però stata molto chiara. L'Euro ha perso nei confronti del dollaro ben 2 centesimi, passando da oltre 1,25 di ieri a circa 1,23. Un movimento così forte sui mercati valutari si vede raramente e testimonia l'ansia sul futuro della moneta unica.

Personalmente ritengo che, sebbene sia posssibile assistere nelle prossime settimane ad un ulteriore scivolamento dell'euro, specialmente se i prossimi dati sull'evoluzione dei deficit gemelli americani dovessero indicare stabilità, le conseguenze non potranno essere troppo marcate.

Infatti il referendum ha riguardato l'organizzazione politica futura dell'Unione, non certo la ragion d'essere della moneta unica. L'euro, sebbene sia da molti (Berlusconi compreso) additato come causa dei mali che in realtà derivano da ben altre ragioni, non è minimamente messo in discussione. Le ipotesi di affossamento della moneta unica che si sono sentite in questi giorni mi appaiono come campate in aria.

L'Europa ha ed avrà crescenti problemi di gestione politica dell'allargamento già attuato lo scorso anno e di ogni ulteriore passo in questa direzione. L'ingresso di Bulgarie e Romania, previsto per il 2007 e soprattutto quello della Turchia, che sta discutendo l'agenda per il suo ingresso, probabilmente subiranno rallentamenti.

E' altrettanto probabile che i mercati finanziari reagiscano alle incertezze politiche colpendo i paesi più deboli dell'attuale consesso di aderenti all'euro. Questi paesi sono quelli che hanno un debito pubblico più consistente: Belgio, ma soprattutto Italia e Grecia. Il cosiddetto "rischio-paese" potrebbe salire ulteriormente rispetto ai livelli già crescenti degli ultimi tempi. Per questi ultimi due paesi l'allargamento degli spreads dei titoli di stato decennali rispetto alle corrispondenti scadenze tedesche si sta infatti già da tempo allargando. Il differenziale di rendimento del nostro BTP è passato dai 10 centesimi di circa due mesi fa, prima dell'interpretazione più lassista del Patto di Stabilità decisa dai governi europei, ai 21 centesimi di venerdì scorso, e dopo il referendum è destinato ad allargarsi ulteriormente.

Come in ogni situazione di stress saranno gli anelli deboli della catena a subire i maggiori danni. Però direi che cataclismi non sono prevedibili, anche perché dal punto di vista finanziario gli americani non sono certo messi meglio degli europei e prima o poi gli enormi squilibri rappresentati dai deficit gemelli torneranno a premere sul dollaro.

Adesso però rassegnamoci a subire lo sberleffo degli americani che, non senza ragione, potranno ironizzare sugli europei e, citando Bertold Brecht, diranno che hanno segato il ramo su cui erano seduti, senza però accorgersi che a forza di allargare il loro debito anch'essi stanno continuando a segare il loro. E quando avranno finito il loro tonfo non sarà meno rumoroso del nostro.

IL GRAFICO DELLA SETTIMANA

Questa rubrica ha lo scopo di presentare un'analisi dedicata ad un mercato, settore o titolo particolarmente significativo. Non si tratta di analisi operative aventi lo scopo di consigliare idee di investimento, ma semplici riflessioni originate dallo studio del grafico, che possono però essere di qualche utilità per il lettore. Il grafico analizzato può essere consultato anche in seguito nella sezione "I Nostri Grafici" del sito www.borsaprof.it

EURO-DOLLARO

La moneta europea rispetto al dollaro americano ha raggiunto il suo massimo assoluto a 1,3661 proprio l'ultimo giorno del 2004 ed ha concluso a quel livello il rally partito da 0,858 nel febbraio 2002 e durato ben due anni. Il successivo calo si è sviluppato con le sembianze di un canale ribassista che però si è protratto al di là del semplice movimento di ritracciamento di breve periodo, andando addirittura a violare ben due trend lines rialziste che identificavano finora il movimento di lungo periodo e quello di medio.

L'esito del referendum francese ha poi impresso proprio martedì 31 maggio un'accelerazione ribassista che ha comportato addirittura la fuoriuscita dal bordo inferiore del canale. La momentanea debolezza dell'Euro potrebbe ora portare al raggiungimento di una prima importante area di supporto a circa 1,22, che rappresenta il 50% del ritracciamento dell'onda 5 dell'intero movimento rialzista di questi anni. Un ulteriore livello di supporto, molto importante, che credo che difficilmente potrà essere superato a meno di eventi politici al momento non ipotizzabili, è rappresentato dall'area 1,18 - 1,20, dove sono presenti due supporti statici che hanno resistito in passato a ripetuti attacchi ed è presente a circa 1,19 l'ultimo livello di ritracciamento dell'onda 5 compatibile con il mantenimento di uno scenario rialzista di lungo periodo per l'euro. Un passaggio sotto questi livelli imporrebbe di riconsiderare tutto lo scenario grafico relativo a questo mercato.

SETTORI FORTI

In questa sezione vengono indicati i settori Eurostoxx relativi al mercato europeo (così come classificati dall'agenzia Dow Jones, che ne pubblica quotidianamente il valore) che si trovano in un solido trend ascendente di breve periodo nella forza relativa rispetto all'indice Eurostoxx globale, che esprime l'andamento dell'intero mercato europeo. Forza relativa crescente significa che il settore sale più (o scende meno) dell'indice globale. Potrebbe aver senso posizionarsi sui settori più forti in un'ottica di allocazione ottimale del portafoglio. Il sito ufficiale dedicato agli indici eurostoxx, dove si trova ogni genere di informazione al riguardo è il seguente: www.stoxx.com

FOCUS MACROECONOMICO

Gli ultimi giorni ci hanno presentato pochi dati economici che non hanno modificato le conoscenze dei mercati. La seconda stima del PIL americano del 1° trimestre ha portato a rivedere il dato al 3,5% contro il 3,1 precedente. Il dato è sostanzialmente in linea, anzi addirittura leggermente inferiore alle attese degli analisti.

Gli altri pochi dati comunicati sono stati chi lievemente superiore, chi al di sotto delle previsioni, fornendo perciò nel complesso un input di neutralità ai mercati, che sembrano ormai convinti che il primo trimestre è stato abbastanza buono, mentre probabilmente il secondo mostrerà un maggiore rallentamento del tasso di crescita americano.

I mercati hanno comunque mostrato di voler continuare i trend in atto, anche se senza ulteriori accelerazioni. Gli azionari hanno proseguito verso i massimi dell'anno (il Dax li ha addirittura superati), gli obbligazionari hanno realizzato nuovi massimi assoluti, segnando quindi rendimenti ancora in flessione. Il cambio euro-dollaro ha affrontato l'avvicinamento al referendum francese sulla costituzione europea raggiungendo 1,25 e mostrando così di temere conseguenze negative per la valuta europea. L'unico mercato che ha mostrato di voler ipotizzare l'inversione del trend è stato il petrolio, che ha rialzato la testa ben oltre i 50 dollari.

Le divergenze di lettura della realtà economica effettuate dai mercati pertanto proseguono. Ciò che risulta molto difficile spiegare è il continuo calo dei tassi manifestato dai mercati obbligazionari, che stride sia con la situazione di sostanziale robustezza dell'economia americana, che con il comportamento della dinamica inflattiva, in costante, anche se graduale peggioramento, oltre che con il comportamento dei mercati azionari, che sembrano invece tornati maggiormente ottimisti.

La settimana a cavallo tra maggio e giugno ci porta alcuni importanti dati che dovrebbero confermare oppure mettere in dubbio l'ipotesi di rallentamento americano nel secondo semestre. Sebbene già la Fiducia e il PMI previsti per martedì abbiano un certo rilievo, quelli decisamente più importanti e che provocheranno decise reazioni dei mercati sono i due ISM (manifatturiero, previsto per mercoledì 1, non manifatturiero atteso venerdì 3) ed i dati sul mercato del lavoro Usa che usciranno venerdì 3.

Pierluigi Gerbino

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