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Report finanziario "CLASSIC" 16 Novembre 2004

OLTRE LE VETTE

Il “Bush market” riesce a superare sui mercati azionari i precedenti massimi del 2004. Prosegue quindi nel migliore dei modi la luna di miele dei mercati con il vecchio-nuovo presidente.
Il rally azionario continua a convivere con la debolezza del dollaro. Sembra quasi che se ne alimenti, leggendo per ora il dollaro debole con gli occhiali dell’ottimismo, che prevede aumenti di competitività per le aziende americane.
Intanto in settimana sono giunte notizie assai poco confortanti per la crescita economica del resto del pianeta.
Sia in Europa che in Giappone le stime di crescita del PIL del 3° trimestre sono state piuttosto deludenti e rivelano la pressione che esercitano sull’economia mondiale due fattori che stanno chiaramente emergendo.
Uno è proprio la debolezza del dollaro, che, se è vero che avvantaggia le imprese americane, si può dire il contrario per le imprese delle altre aree economiche. Ciò che rende pessimisti è la chiara percezione che, come già lo scorso anno, il governo USA sia abbastanza indifferente ai movimenti del cambio. Pur dichiarando ufficialmente che “l’orientamento politico dell’Amministrazione Bush permane favorevole al dollaro forte”, nei fatti le dichiarazioni meno ufficiali di singoli esponenti e soprattutto i comportamenti pratici sui mercati lasciano trapelare indifferenza quando non anche compiacimento nel vedere il dollaro perdere terreno. La convinzione diffusa è che in questo modo si dvrebbero risolvere gli squilibri creati o accentuati dalle politiche economiche di Bush di questi anni.
L’altro fattore che incide sulla crescita mondiale è il colpo di freno dato all’economia cinese dal primo aumento dei tassi ufficiali di interesse, avvenuto un paio di settimane fa.
La sensazione è che al momento qualche effetto lo stia producendo, anche se la strada per assorbire gli eccessi di crescita di questo paese è ancora lunga e densa di incognite, dato che la Cina presenta specificità enormi che ne fanno un paese economicamente diverso dagli altri e rende il cammino delle autorità cinesi privo di orientamenti.
Dagli USA sono venute invece notizie abbastanza buone, rappresentate dalla tenuta dei consumi e da una ripresa della fiducia dei consumatori, rassicurati dall’esito elettorale. E’ legittimo aspettarsi un buon quarto trimestre e magari anche una revisione al rialzo della stima ufficiale del terzo, che verrà comunicata nelle prossime settimane. Pertanto non è azzardato prevedere una crescita americana per il 2004 vicina al 4%, che giustifica il buon andamento dei mercati azionari in questo periodo.
A questo proposito sembra venuto il momento di fare qualche ipotesi in termini di obiettivi.
Partendo dai mercati americani, notiamo che SP500, con la violazione del massimo annuale di 1163, avvenuta la scorsa settimana, ha confermato l’esistenza di un movimento impulsivo rialzista in corso. Quella in atto dovrebbe essere l’ultima onda che ha come obiettivo l’area che gravita intorno a 1250, compresa tra 1220 e 1280. Ma la cosa più importante è il completamento
Ce la faranno Bush ed i cinesi ad attuare l’atterraggio morbido dai rispettivi squilibri? Sarà il tempo a dircelo.
Le elezioni presidenziali si sono concluse con un trionfo per Bush ed il suo partito, ricacciando il “sempremesto” Kerry a fare il senatore anonimo, mestiere che svolge da una vita in modo dignitoso ma nulla più.
Intendiamoci. Non è affatto vero, come a volte sembra che i giornali vogliano far credere, che la vittoria sia stata schiacciante. Bush ha vinto anche stavolta grazie ad un solo stato (l’Ohio) con poco più di 100.000 voti di scarto. Questa non è una vittoria sciacciante, ma lo può apparire agli occhi di chi ricorda la pena che 5 anni fa si provò nell’attendere il responso della Florida dopo quasi un mese di lotta all’ultima scheda.
Quella di Bush se non è schiacciante è almeno una vittoria chiara ed incontestabile e questo è bastato da un lato a dare quella legittimità politica che al nostro personaggio è risultata offuscata dalla vicenda Florida durante il suo primo mandato, mentre dall’altro lato ha fornito certezze immediate ai mercati che, come vuole la tradizione, preferiscono un responso che sia chiaro e, meglio ancora, conservatore.
Ha potuto proseguire quindi il rally di Bush che ha portato il mercato azionario a ritoccare i massimi annuali (per l’SP500) e l’euro-dollaro a ritoccare anch’esso i suoi ad un soffio da 1,30.
Finita tra qualche giorno l’euforia, i mercati dovranno abbastanza presto interpretare il voto, o meglio, indovinare come lo stesso Bush ed il suo entourage (mai citare Bush senza il suo entourage, sono una cosa sola) interpreteranno l’esito elettorale.
Sono possibili due ipotesi alternative. La prima, che io ritengo la più probabile, vede i neo-cons galvanizzati dalla vittoria e rassicurati dall’appoggio popolare. Bush potrebbe utilizzare il consenso ottenuto dal popolo americano per convincersi a radicalizare ancor più la sua strategia basata sulla guerra contro l’asse del male in politica estera e sui tagli fiscali alle classi privilegiate, uniti all’espansione della spesa per finanziare questa e le prossime guerre al terrorismo.
Se questo avverrà, gli squilibri economici già presenti nel sistema americano non saranno certo assorbiti, ma troveranno ulteriore alimento e ciò porterà prima o poi i mercati a pretenderne il risanamento magari in modo traumatico.
In questi primi giorni post elettorali abbiamo già qualche avvisaglia di questo scenario. I preparativi per la battaglia finale a Falluja e nel triangolo sunnita irakeno procedono a ritmo serrato e confermano l’intenzione di fare ora ciò che in periodo elettorale non era prudente fare. La ripresa delle minacce all’Iran, accusato di preparare armi atomiche, assomigliano molto a quelle che un anno fa Bush faceva a Saddam Hussein.
In campo economico la caduta del dollaro fa pensare che i mercati ipotizzino il persistere e l’acuirsi dei deficit gemelli anche nel prossimo futuro.
L’altro scenario, che è bene delineare, anche se ai miei occhi appare decisamente meno probabile, è invece quello di un presidente che si troverà in una posizione ben diversa da quella di 5 anni fa. La vittoria ottenuta gli toglie la necessità di dover cercare continuamente legittimazione dal suo operare, mentre la impossibilità di ricandidarsi tra 5 anni gli potrebbe togliere la necessità di conquistarsi il favore popolare. Bush potrebbe voler passare alla storia americana come il Presidente che, dopo aver risposto agli attacchi terroristici, avrà cercato a tutti i costi la soluzione del problema palestinese e risolto il maggior focolaio di insoddisfazione nelle masse arabe. Dopo aver ottenuto a caro prezzo il voto democratico in Iraq, si potrebbe quindi ritirare lasciando agli irakeni, come promesso, la possibilità di essere gli artefici del proprio destino democratico. L’immagine del presidente guerriero del suo primo mandato lascerebbe spazio a quella del presidente pacifista, nela seconda parte della sua reggenza.
In campo economico potrebbe poi mettere mano con gradualità ed insistenza agli squilibri nel bilancio pubblico e del deficit commerciale, impedendo così i rischi di tracollo del dollaro e del sistema economico USA.
Quale Bush vedremo?

FOCUS MACROECONOMICO

La scorsa settimana sono giunti dall’Europa e dal Giappone dati sulla crescita economica abbastanza deludenti. In entrambe le aree si assiste ad una frenata nell’incremento del PIL, con un terzo trimestre stimato in crescita frazionale. L’Italia approfitta di una crescita trimestrale delllo 0,4% per risalire la china e recuperare un po’ di terreno in eurolandia. Si tratta comunque di tassi di crescita economica ai con fini con la stagnazione e decisamente insufficienti, sia per l’Europa che per il nostro paese, specie se confrontati con la crescita americana, tre volte più forte.
Gli esperti attribuiscono questa volta la colpa al super Euro, che avrebbe penalizzato le esportazioni europee, ma è un dato di fatto che da molti trimestri la crescita europea è strutturalmente inferiore a quella americana.
Dall’America sono invece venute buone notizie macroeconomiche, con una crescita sia delle vendite al dettaglio di ottobre che della fiducia dei consumatori misurata dopo le elezioni presidenziali.
Segno forse che il rallentamento misurato nel terzo trimestre dovrebbe essersi fermato e potrebbe essere ripresa una certa spinta ai consumi, grazie anche ai buoni dati sulla creazione di occupazione.
Proseguono intanto a marciare a velocità sostenuta, ma senza ulteriori accelerazioni, i deficit gemelli. La bilancia commerciale americana continua a viaggiare al di sopra dei 50 miliardi di dollari di passivo al mese, mentre il deficit federale è stato ufficialmente calcolato, per l’anno fiscale chiuso a settembre, al 3,6% del PIL, che è un valore che in Europa avrebbe suscitato gli strali della Commissione Europea.
Si spiega così la debolezza del dollaro, motivata anche dalla convinzione dei mercati che l’amministrazione Bush non abbia alcuna intenzione di difendere il cambio, ma preferisca vedere il dollaro scivolare per aumentare la competitività delle imprese americane.
In questo clima abbastanza idilliaco è passata quasi inosservata, poiché già abbondantemente scontata, la quarta mossa di Greenspan, che ha portato i tassi americani al 2%, confermando tutte le previsioni.
La settimana entrante è caratterizzata soprattutto dai dati sull’inflazione americana, con l’Indice dei Prezzi alla produzione (martedì) e quello dei prezzi al consumo (mercoledì).
Da segnalare anche, mercoledì e giovedì, i dati sulla produzione industriale ed il superindice anticipatore, previsto ancora in calo per il quinto mese consecutivo.

Pierluigi Gerbino

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