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Report finanziario "CLASSIC" 08 Novembre 2004

BUSH MARKET

L’elettorato americano si è comportato proprio come avevo ipotizzato la scorsa settimana. Le elezioni presidenziali si sono concluse con un trionfo per Bush ed il suo partito, ricacciando il “sempremesto” Kerry a fare il senatore anonimo, mestiere che svolge da una vita in modo dignitoso ma nulla più.
Intendiamoci. Non è affatto vero, come a volte sembra che i giornali vogliano far credere, che la vittoria sia stata schiacciante. Bush ha vinto anche stavolta grazie ad un solo stato (l’Ohio) con poco più di 100.000 voti di scarto. Questa non è una vittoria sciacciante, ma lo può apparire agli occhi di chi ricorda la pena che 5 anni fa si provò nell’attendere il responso della Florida dopo quasi un mese di lotta all’ultima scheda.
Quella di Bush se non è schiacciante è almeno una vittoria chiara ed incontestabile e questo è bastato da un lato a dare quella legittimità politica che al nostro personaggio è risultata offuscata dalla vicenda Florida durante il suo primo mandato, mentre dall’altro lato ha fornito certezze immediate ai mercati che, come vuole la tradizione, preferiscono un responso che sia chiaro e, meglio ancora, conservatore.
Ha potuto proseguire quindi il rally di Bush che ha portato il mercato azionario a ritoccare i massimi annuali (per l’SP500) e l’euro-dollaro a ritoccare anch’esso i suoi ad un soffio da 1,30.
Finita tra qualche giorno l’euforia, i mercati dovranno abbastanza presto interpretare il voto, o meglio, indovinare come lo stesso Bush ed il suo entourage (mai citare Bush senza il suo entourage, sono una cosa sola) interpreteranno l’esito elettorale.
Sono possibili due ipotesi alternative. La prima, che io ritengo la più probabile, vede i neo-cons galvanizzati dalla vittoria e rassicurati dall’appoggio popolare. Bush potrebbe utilizzare il consenso ottenuto dal popolo americano per convincersi a radicalizare ancor più la sua strategia basata sulla guerra contro l’asse del male in politica estera e sui tagli fiscali alle classi privilegiate, uniti all’espansione della spesa per finanziare questa e le prossime guerre al terrorismo.
Se questo avverrà, gli squilibri economici già presenti nel sistema americano non saranno certo assorbiti, ma troveranno ulteriore alimento e ciò porterà prima o poi i mercati a pretenderne il risanamento magari in modo traumatico.
In questi primi giorni post elettorali abbiamo già qualche avvisaglia di questo scenario. I preparativi per la battaglia finale a Falluja e nel triangolo sunnita irakeno procedono a ritmo serrato e confermano l’intenzione di fare ora ciò che in periodo elettorale non era prudente fare. La ripresa delle minacce all’Iran, accusato di preparare armi atomiche, assomigliano molto a quelle che un anno fa Bush faceva a Saddam Hussein.
In campo economico la caduta del dollaro fa pensare che i mercati ipotizzino il persistere e l’acuirsi dei deficit gemelli anche nel prossimo futuro.
L’altro scenario, che è bene delineare, anche se ai miei occhi appare decisamente meno probabile, è invece quello di un presidente che si troverà in una posizione ben diversa da quella di 5 anni fa. La vittoria ottenuta gli toglie la necessità di dover cercare continuamente legittimazione dal suo operare, mentre la impossibilità di ricandidarsi tra 5 anni gli potrebbe togliere la necessità di conquistarsi il favore popolare. Bush potrebbe voler passare alla storia americana come il Presidente che, dopo aver risposto agli attacchi terroristici, avrà cercato a tutti i costi la soluzione del problema palestinese e risolto il maggior focolaio di insoddisfazione nelle masse arabe. Dopo aver ottenuto a caro prezzo il voto democratico in Iraq, si potrebbe quindi ritirare lasciando agli irakeni, come promesso, la possibilità di essere gli artefici del proprio destino democratico. L’immagine del presidente guerriero del suo primo mandato lascerebbe spazio a quella del presidente pacifista, nela seconda parte della sua reggenza.
In campo economico potrebbe poi mettere mano con gradualità ed insistenza agli squilibri nel bilancio pubblico e del deficit commerciale, impedendo così i rischi di tracollo del dollaro e del sistema economico USA.
Quale Bush vedremo?

FOCUS MACROECONOMICO

Settimana, quella passata, dominata dalle elezioni americane, che hanno monopolizzato l’attenzione dei mercati. La vittoria perentoria di Bush ha fatto presto dimenticare il dato non brillante del PIL americano.
Nei giorni seguenti al voto sono stati comunque pubblicati dati piuttosto interessanti.
Tra tutti ha spiccato quello molto positivo sul mercato del lavoro, uscito venerdì. La creazione di posti in ottobre è stata nuovamente assai rilevante, dopo qualche mese di penuria. Il dato, 337.000 unità, ha superato di gran lunga le previsioni degli esperti, che ipotizzavano valori attorno a 150.000 unità. A dare spinta all’occupazione è stata la ricostruzione dopo il passaggio degli uragani, ma il fatto che siano stati rivisti al rialzo anche i precedenti numeri di agosto e settembre lascia supporre che in effetti la creazione di lavoro abbia ripreso a buon ritmo. La cosa fa ipotizzare con una certa sicurezza che mercoledì 10 la Federal Reserve attuerà un ulteriore rialzo di un quarto di punto dei tassi, completando così la manovra progettata per il 2004.
Dovrebbe seguire poi un breve periodo di attesa, per verificare se il ritmo di crescita dell’economia riprenderà vigore.
La vittoria di Bush non ha invece aiutato il dollaro, sul quale si stannoo scaricando i timori che le “mani bucate” di Bush non possano evitare un ulteriore deprezzamento. Anzi, qualcuno torna ad ipotizzare che la stessa amministrazione USA sia tutto sommato soddisfatta della svalutazione del dollaro, per fornire competitività alle imprese americane e procedere per questa via ad un riaggiustamento degli squilibri che altrimenti sarebbe problematico.
La settimana entrante si presenta con appuntamenti macroeconomici non numerosi ma importanti. Segnalo la giornata di mercoledì, caratterizzata dall’aggiornamento sui deficit gemelli (bilancia commerciale e deficit federale) oltre che dalla riunione del FOMC che alzerà i tassi. Venerdì sarà la volta delle stime preliminari sul PIL 3° trimestre in Giappone ed Europa, oltre ai dati sulle vendite al dettaglio e la fiducia dei consumatori americani.

Pierluigi Gerbino

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