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Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

Il ruolo dei Media

Il meccanismo delle “auto-fulfilling prophecies”, mediante cui la paura o il desiderio di veder realizzare un determinato evento, diviene la causa stessa della sua realizzazione, è il motore di tutte le grandi manie speculative. I Mass Media costituiscono il veicolo più rapido di diffusione di tali comportamenti auto-alimentanti, in quanto hanno la capacità di dare un volto ed un nome agli eventi che le persone altrimenti impiegherebbero del tempo a realizzare.

Il punto è però che per fare questo, spesso gli editori di quotidiani o di altri mezzi di diffusione ricorrono a delle drastiche semplificazioni o approssimazioni che nella mente di chi legge o ascolta si trasformano in un’idea precisa e spesso poco aderente alla realtà dei fatti. Ma la logica dei profitti, che vale per tutte le imprese, naturalmente si estende anche a chi fa informazione, ed in questi casi i profitti si fanno vendendo più copie possibili: ecco allora che il quotidiano che vende è quello che riesce a dire cose “credibili”, ancorché esatte, e per fare questo deve cercare di sposare delle teorie che creino in qualche modo un’opinione, in cui ci si possa riconoscere.

In particolare i giornali o le trasmissioni (soprattutto negli USA) sono alla continua ricerca di esponenti di rilievo in grado di patrocinare questa o quella tesi, più o meno estrema, di modo da polarizzare l’attenzione del maggior numero di lettori o telespettatori possibile. Sostanzialmente ciò che fanno i Media è raccogliere sentori, e trasformarli in opinioni, dopodiché raccogliere i sentori generati da queste opinioni, e farne opinioni ancora più precise, contribuendo con questo meccanismo a generare gli stessi fatti di cui fanno la cronaca.

Non ci si stupisce dunque nel constatare che il 1600, secolo in cui si sono diffusi i primi quotidiani, sia stato anche il secolo della prima grande ondata di speculazione (la tulipanomania, in Olanda)[26]. Gli anni ’90 sono stati caratterizzati, soprattutto per quanto riguarda gli Stati Uniti, da un forte incremento dell’informazione nel campo della finanza, la CNN e la CNBC venivano affiancate da reti che, come la Bloomberg Television, mandavano in onda notiziari finanziari 24 ore su 24.

La gente cominciava così a prender parte a quegli accadimenti in grado di orientare le scelte di mercato degli investitori più grossi, e i mercati finanziari sono stati pubblicizzati dalla televisione proprio come accade normalmente per i prodotti, alimentando ulteriormente la domanda di titoli.

L’avvento di Internet rappresenta a questo punto un’evoluzione macroscopica in un mercato dell’informazione già di per sé in espansione, infatti con questo nuovo potente mezzo di informazione in cui spesso il costo da sopportare consiste semplicemente nel dover visualizzare banner pubblicitari, molte più persone sentono di avere dati a sufficienza per allestire e gestire il proprio portafoglio online. Dunque si osserva un interessante correlazione tra il grado di informazione ed i volumi di negoziazione di strumenti finanziari.

Nel prossimo capitolo si vedranno le implicazioni che questo comporta dal punto di vista comportamentale degli operatori, e di conseguenza sulla razionalità dei mercati implicita nella teoria del mercato efficiente.

I giudizi degli analisti finanziari

È interessante invece notare la propensione a stime sempre più ottimistiche da parte degli analisti finanziari in concomitanza dell’aumento di informazione finanziaria. Chiunque abbia seguito la borsa negli ultimi anni ha imparato sicuramente a conoscere ed interpretare i giudizi dati dagli analisti. Gli studi della Zacks Investment Research rivelano, o meglio, confermano che i giudizi sell sono diminuiti dal 9 all’ 1% nel corso degli anni novanta, mentre i buy sono relativamente aumentati, e questo sostanzialmente è il motivo per cui la borsa reagisce tendenzialmente male agli hold, assimilandoli ai vecchi sell.

I motivi di questi giudizi “pompati” spesso dipendono dai rapporti intercorrenti tra analisti ed imprese, infatti queste ultime potrebbero negare interviste agli analisti poco indulgenti; in altri casi giudizi severi potrebbero compromettere i portafogli di banche e società finanziarie di cui gli analisti sono dipendenti. In pratica l’attività degli analisti assomiglia sempre di più a quella dei pubblicitari, e non sono mancate recentemente proposte di includerli professionalmente in questa categoria, facendoli divenire a tutti gli effetti dipendenti delle aziende di cui pubblicizzano i dati.

Le loro stime, infatti riguardano anche le previsioni di utili distribuiti, sia a lungo termine che a breve termine. Nel primo caso, vengono fornite in genere stime statisticamente eccedenti gli utili successivamente conseguiti dalle imprese mentre, per gli utili a breve, gli analisti tendono a rivedere al ribasso le loro stime, soprattutto nei giorni immediatamente precedenti gli earning announcement. Ma questo è ancora una volta un modo di fare pubblicità alle società analizzate, infatti si tenta di creare i presupposti per una sorpresa positiva il giorno della pubblicazione dei dati sugli utili, e sono le stesse società a chiedere agli analisti di dare giudizi particolarmente prudenti in quelle occasioni[27].

Recentemente sono venuti a galla diversi casi di truffa da parte degli analisti finanziari ai danni degli investitori, ai quali venivano consigliati dei titoli, a mezzo di report siglati “strong buy”, che gli stessi analisti consideravano sopravvalutati (in alcuni casi addirittura “junk”). La bufera che ne è seguita e che ha travolto le maggiori banche d’affari del mondo, ha portato con sé dei recenti provvedimenti consistenti prima di tutto in esami speciali (comprendenti il tema dell’etica) per coloro che vogliono entrare nell’albo degli analisti.


26 Si veda Kindelberger, 2000.

27 Si veda Lin, H. W., e McNichols, M. F. Underwriting Relationships, Analists’ Earnings Forecasts and Investment Recommendations, Journal of Accounting and Economics, 1998.

Marco Primavera

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