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Mercati efficienti e bolle speculative: cicli economici, finanza e psicologia

L’ennesima Nuova era

Nihil Durare Potest Tempore Perpetuo

Quello sulla razionalità operativa dei mercati finanziari, è un discorso molto complesso, che proprio per la difficoltà ad essere inquadrato in una modellistica standard, fatica ad integrarsi nelle analisi di valutazione proposte dai libri di testo di finanza.

Per dare un senso alle considerazioni che verranno svolte nel capitolo successivo a questo, in merito al comportamento degli operatori, si deve innanzitutto chiarire che tali comportamenti non costituiscono un fenomeno nuovo, associato a quest’ultima era: al contrario, essi esistono da sempre, in quanto legati al modo di reagire delle persone in particolari circostanze di rischio o di incertezza, tuttavia hanno maggiori possibilità di essere osservati in determinate fasi congiunturali che la storia, come si è visto precedentemente, non manca di riproporre.

In questo capitolo, con riferimento alla recente ondata di speculazione sul mercato dei titoli tecnologici culminata nel crollo di marzo 2000, si discuteranno i fatti e le condizioni strutturali che maggiormente hanno costituito il terreno fertile per la semina di atteggiamenti non razionali.

I presupposti strutturali

Nel celebre film Wall Street, il protagonista (interpretato da Charlie Sheen), si sente dire da un anziano collega che lavorava con lui nella società di brokeraggio: “Sei in impennata! goditela finché dura, perché non dura mai..”, ed egli risponde, con tutta la sicurezza dei ragazzi che cominciano a fare carriera: “è solo questione di sgomitate!”. Il film fa riferimento al mercato azionario degli anni ottanta, dunque proprio il periodo in cui la borsa era all’inizio di un’arrampicata che sarebbe durata 18 anni.

Gli investitori che all’epoca avevano sui 35-40 anni sono i nati durate il boom del dopoguerra, e pertanto non hanno memoria del periodo della grande depressione degli anni trenta e della guerra che ne seguì. Tale boom cominciò nel 1946, quando tutti coloro che avevano aspettato la fine della guerra per mettere su famiglia si decisero, e terminò bruscamente nei primi anni ’60, contestualmente all’introduzione della pillola anticoncezionale e, come fa notare Joel E. Cohen (1998), ad una riduzione del tasso di fertilità.

Secondo alcuni l’aumento insolito dei prezzi rispetto agli utili sarebbe appunto dovuto all’accumulo di risparmi sottoforma di investimento per i propri figli, operato da questa folta schiera di 35-40enni[22]. Sebbene tale corrispondenza non sia manifestamente comprovata, nei dati di lungo periodo riguardo il mercato obbligazionario e immobiliare, sembra emergere una certa correlazione tra i valori reali[23].

Ma la spiegazione demografica, da sola non basta a giustificare il grande bull market di fine millennio, infatti sono diverse le cause che hanno costituito il clima ideale a generare la travolgente euforia. La reganomics di cui si è parlato nel paragrafo 1.6, effettivamente ha inaugurato un epoca in cui le imprese e gli investitori sarebbero stati i grandi favoriti della locomotiva statunitense, anche dopo l’elezione di Clinton il quale, comunque sia, avrebbe dovuto render conto ad un congresso a maggioranza repubblicana. In particolare l’attesa di tagli fiscali progressivi sui redditi da capitale, come quello del 1997 (che portò dal 28 al 20% l’aliquota più alta), suggerì di non disinvestire per lunghi periodi.

La formula capitalistica e l’orientamento al mercato cominciavano ad affermarsi anche ad Est, dove l’Unione Sovietica nel 1991 si divise in tanti piccoli stati che avrebbero adottato politiche più liberiste. Secondo Shiller (2000) questo contribuì, in seguito anche alla depressione giapponese cominciata dopo il 1989 e la successiva crisi del ’98, ad imprimere un certo patriottismo economico all’interno degli Stati Uniti, che si è trasferito nei mercati, aumentando la fiducia degli investitori.

A fare da volano al senso di fiducia nei titoli azionari ha contribuito l’utilizzo sempre crescente dei meccanismi di stock options che, trasformando parte della retribuzione dei manager in azioni della società, hanno tuttavia incentivato questi a perseguire politiche rischiose e spesso fraudolente (come si sta scoprendo ultimamente) pur di aumentare il corso delle azioni nel breve periodo, ed incassare le proprie liquidazioni milionarie. Ulteriore spinta al mercato di quegli anni venne data dal proliferare dei piani pensionistici e dei fondi di investimento.

Fino al 1981 i datori di lavoro provvedevano a fornire una pensione fissa di importo definito ai loro dipendenti. Con l’introduzione dello “Schema 401(k)” viene data ai dipendenti la possibilità di investire i contributi dedotti dai loro stipendi in un conto pensione, di cui possono scegliere la composizione tra azioni, obbligazioni e strumenti del mercato monetario. Gli incentivi fiscali legati a questa soluzione hanno contribuito a far avvicinare milioni di persone “non addette ai lavori” al mondo delle azioni e dei mercati finanziari, e questo fenomeno si è amplificato successivamente, con l’introduzione dei fondi di investimento aperti, i quali sono passati, tra l’82 e il ’98 da 340 a 3.513[24].

L’aumento della confidenza con il modello 401(k) ed altri come il 403(b) e il 401(b) hanno invogliato molti risparmiatori a ricorrere ai fondi d’investimento anche come impiego di una parte di capitale aggiuntiva ai contributi lavorativi[25]. Un ruolo importante è stato giocato dalla pubblicità, che ha portato questi strumenti ad essere diffusi grazie ad inserzioni sempre più frequenti su ogni sorta di quotidiano e rivista. Il risultato generale fu una grande quantità di capitali riversati nel mercato finanziario, non già su dei titoli o dei settori in particolare, ma su tutto il comparto azionario e obbligazionario (Shiller, 2000).

Per quanto riguarda, poi, il ruolo che la Federal Reserve ed il suo attuale presidente Alan Greenspan hanno esercitato nel contesto speculativo della new economy si discuterà specificamente nel capitolo decimo. Elencati questi, che sono fattori strutturali di tipo economico, politico e demografico, si vuole tornare sul fattore che per eccellenza ha galvanizzato i mercati e ha fatto di questa era, l’ennesima “nuova era”: Internet. Come tutte le grandi innovazioni la rete informatica è divenuta una variabile strutturale in grado di ridisegnare le prospettive non solo tecnologiche, ma anche economiche e sociali, degli anni che verranno.

La rivoluzione del World Wide Web, a ben vedere, si discosta storicamente da qualunque altro fenomeno tecnologico precedente, soprattutto per quanto riguarda le sue implicazioni speculative. Per la prima volta nella storia infatti un fenomeno speculativo ha visto coincidere l’oggetto di speculazione ed il mezzo per speculare, cioè Internet stesso. Quella della New Economy è possibilmente la prima “auto-feedingbubble”. Milioni di nuovi conti online e nuovi apprendisti trader hanno riversato nelle borse capitali enormi, travolgendo con il loro entusiasmo ogni dato fondamentale.

Sebbene la storia annoveri svariati fenomeni di euforia collettiva legata all’ acquisto di un bene o allo sviluppo di una nuova tecnologia, mai prima d’ora l’innovazione aveva costituito il mezzo per alimentare sé stessa, e detto ciò non ci si dovrebbe stupire, nel constatare che i grafici di quest’ultimo episodio speculativo siano difficilmente comparabili per magnitudine e volumi a quelli delle bolle del passato. Nessuna bolla sarà più simile al passato dopo l’avvento della rete internet che segna a questo punto anche un diaframma significativo tra il vecchio ed il nuovo modo di fare finanza.


22 Shiller, Robert J. Irrational Exuberance. Princeton University Press, 2000

23 Bakshi, G. S., e Chen, Z. Baby Boom, Population Aging and Capital Markets. Journal of Business, 1994.

24 http://www.ici.org.

25 Warther, Vincent A. Aggregate Mutual Fund Flows and Security Returns. Journal of Financial Economics, 1995.

Marco Primavera

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