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La realtà inventata...non dalla psicologia ma dalla. fisica!

La visione popolare della mente

Quello che il Teorema di Bell sembra accertare, poiché si basa su fatti sperimentali, corrisponde al modello delle menti unificate: menti che trascendono spazio, tempo e persone individuali; anche questo modello si basa su fatti. Anche se la teoria quantistica viene sostituita da un'altra teoria, e se le nostre teorie sulla psicologia e sulla mente sono rimpiazzate da altre, questi fatti rimangono. Essi ci dicono che il mondo è non localizzato e che, se guardiamo abbastanza attentamente, possiamo vedere chiaramente prove di questa non localizzazione nelle nostre vite quotidiane.

La visione popolare della mente e del sé conscio di una persona come di un quid localizzato, che occupa uno spazio preciso, dà naturalmente luogo alla nostra convinzione di essere osservatori situati in un corpo da cui guardiamo la realtà a esso esterna. Questa teoria ha avuto una forza poderosa nell'intera storia della nostra cultura ed è alla base della scienza classica, secondo cui noi possiamo osservare e misurare da un punto di osservazione esterno, e poi riflettere sul possibile significato di tutto quanto; tuttavia nella fisica moderna, essa è andata in frantumi.

Attualmente la maggior parte dei fisici ritiene che sia semplicemente impossibile spiegare le scoperte della loro scienza attenendosi a questa ipotesi. La maggioranza della comunità scientifica aderisce alla cosiddetta «interpretazione di Copenaghen» della fisica moderna (così chiamata perché Niels Bohr, il suo primo ideatore, era danese). Secondo quest'ottica, a livello atomico, un mondo reale semplicemente non esiste fintanto che non viene compiuta una misurazione o un'osservazione. Prima che ciò si determini, c'è soltanto una varietà di possibili esiti per ciascun evento successivo, ciascuno con la sua possibilità di realizzarsi una volta che l'osservazione venga effettuata.

L'osservatore (o, secondo alcuni fisici, uno strumento di misurazione che funga da suo agente) compie l'atto decisivo di far «collassare» tutte le possibilità consistenti in un singolo esito coerente che solo allora può essere definito evento. Prima di questo momento non siamo autorizzati a parlare di un mondo reale di cose ed eventi, ma solo di possibilità con il potenziale di essere realizzate.

Solo combinando fra loro in un'unità singola l'osservatore e quanto viene osservato la visione del mondo può avere senso. Qui abbiamo una delle più radicali differenze fra la concezione moderna del mondo alla luce delle scoperte della Meccanica quantistica e quella classica. L'idea di una realtà eterna e fissa che segua il suo corso del tutto indipendente da un osservatore è stata superata nella fisica moderna da una concezione che fondamentalmente incorpora umanità in tale realtà.

La Meccanica quantistica nacque al principio del secolo e crebbe come una teoria completamente rivoluzionaria che rovesciò le idee prevalenti fra i fisici dell'epoca Vittoriana. Il modello classico sosteneva che l'atomo fosse composto di un nucleo attorno al quale orbitavano gli elettroni, come un sistema solare in miniatura. Si sapeva che gli elettroni hanno una massa pari a circa un millesimo di quella del protone (uno dei costituenti del nucleo) e che possiedono una carica negativa in grado di bilanciare quella del protone, che è positiva.

Durante i primi decenni del secolo, però, si capì che questo modello non poteva funzionare. Tanto per cominciare, i matematici dimostrarono che gli elettroni non avrebbero potuto mantenere la propria orbita stabilmente come fossero stati pianeti, e si sarebbero fusi coi protoni del nucleo.
Poiché era chiaro che nell'universo in cui viviamo ciò non accade, si assunse, correttamente, che il modello fino ad allora accettato doveva essere sbagliato.

Grazie all'opera pionieristica di fisici come Plank, Bohr e Schródinger, emerse un modello che descriveva la natura del regno subatomico in modo di gran lunga più sofisticato; questo nuovo modello portò con sé un certo numero di conseguenze apparentemente astruse che da allora come abbiamo più volte ripetuti, hanno gettato non solo i profani nella confusione.

Uno dei padri della Meccanica quantistica, Niels Bohr, giunse persino ad affermare che «chiunque non resti scioccato dalla teoria dei quanti non l'ha capita».

I problemi cominciarono davvero quando i fisici delle particelle si resero conto che l'elettrone non era una sferula di materia carica negativamente, ma poteva essere descritto solo in termini probabilistici. In altre parole, esiste un'elevata probabilità che un elettrone si trovi a una determinata distanza dal nucleo e una bassa probabilità che sia molto più distante o molto più vicino a esso.

Legato a questo concetto è il principio di indeterminazione annunciato da Werner Heisenberg nel 1927. Esso dimostra che esistono dei limiti all'accuratezza con cui possono essere misurate delle coppie di quantità fisiche. Ad esempio, se cerchiamo di misurare la posizione e la quantità di moto di una particella subatomica, lo stesso atto disturberà la particella a tal punto che non sarà possibile attribuire un valore preciso a entrambe le quantità nello stesso istante.

Questa nebulosità è descritta dalla funzione d'onda - in altre parole, si tratta di una descrizione basata unicamente sulle probabilità.
Ora, di primo acchito, questa potrebbe sembrare una faccenda da poco - che mai potrebbe accadere se non riuscissimo a definire con precisione l'esatta posizione delle particelle subatomiche? In realtà, questa è l'essenza stessa della Meccanica quantistica e sta alla radice di tutti i problemi che essa crea alla mente del profano.

D'altra parte, questa è anche la ragione stessa per cui la Meccanica quantistica potrebbe plausibilmente aiutarci a spiegare alcuni fenomeni attualmente non spiegati.

Stefano Calamita

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