Home > Doc > La tutela del risparmio dopo i casi Argentina e Parmalat > Parmalat

La tutela del risparmio dopo i casi Argentina e Parmalat

Parmalat

Le vicende di Parmalat sono ben note in Italia e le responsabilità stanno emergendo con il procedere delle indagini. Parmalat era un'azienda familiare ben radicata sul territorio, che godeva di un'immagine positiva costruita nel tempo su tutta una serie di elementi fra i quali ricordiamo: l'ottima qualità dei prodotti, il clima non conflittuale presente in fabbrica e un tessuto di relazioni personali abilmente teso in tutte le direzioni nel mondo politico, sociale, sportivo, religioso, della comunicazione. Parmalat è cresciuta rapidamente, anche attraverso una lunga serie di acquisizioni in Italia e all'estero, sino a collocarsi al quarto posto in Europa fra i grandi gruppi dell'industria alimentare. Non sembrano esserci più dubbi sulle macroscopiche falsificazioni dei bilanci e sulle responsabilità di chi ha ideato, ordinato e operato i falsi. Il comportamento dei Revisori, che in certe circostanze sembra avessero ignorato le best practices, fa sorgere, invece, qualche serio dubbio sulla tipologia delle loro responsabilità?

[24] Difficile risulta esprimere giudizi sulle responsabilità di singoli amministratori non- executive e dei sindaci. Chi ha fatto parte di questi organi sociali in altre imprese sa quanto sia difficile verificare in certi ambiti la veridicità dei dati e delle informazioni fornite in un clima di ovattata riservatezza che avvolge amministratori executive , dirigenti e dipendenti. Molto importanti sono in questi casi i contatti personali che amministratori indipendenti e sindaci riescono a stabilire con i dipendenti. E' difficile, infatti, pensare che sistematiche falsificazioni delle comunicazioni sociali non suscitino sospetti in alcuni dei dipendenti (i più perspicaci) che operano negli uffici amministrativi, finanziari e commerciali. Per chi teme ritorsioni vi è la possibilità di comunicare i sospetti per via anonima ai sindaci, i quali, se bene indirizzati, sono in grado allora di compiere efficaci approfondimenti.

Anche nel caso Parmalat si sono accusate le merchant banks internazionali che hanno curato le emissioni, all'ombra della loro immagine, sui mercati senza apparentemente accorgersi dell' over-borrowing in atto. Anche per i Parmalat bonds vale quanto si è detto in precedenza per i tango bonds. Si deve solo capire se è vi è stata solo carenza di etica o se si sono commessi illeciti. Resta comunque

il fatto che in un'efficiente economia di mercato questi operatori, anche se non coinvolti direttamente in richieste di risarcimento, dovrebbero subire un danno reputazionale e correre il rischio dell'emarginazione.

Assai criticato è stato il comportamento delle banche retail , che sino a poche settimane dal default hanno suggerito, o non sconsigliato, l'acquisto delle obbligazioni Parmalat. Evidentemente, nell'ipotesi meno censurabile, vi sarebbe stata, come per i tango bonds , una difettosa comunicazione fra la direzione finanziaria e la rete degli sportelli. [25] Non si può inoltre omettere di citare a questo riguardo l'opinione del commissario straordinario di Parmalat Enrico Bondi, che ritiene che le banche avessero la possibilità se non di di conoscere, almeno di nutrire fondati sospetti sulla precaria situazione finanziaria dell'impresa in parola. [26]

Infine anche per Parmalat si è notata una grave carenza nelle agenzie di rating, che non sono state in grado di prevedere l'emersione della crisi. A giustificazione dell'immobilismo è stata addotta la presentazione di bilanci falsi certificati dai revisori. Tuttavia in un articolo apparso sul periodico Rinascimento Popolare Marco Vitale (2004) ha svolto una sintetica analisi comparata dei coefficienti di bilancio del gruppo Parmalat con altri gruppi internazionali del medesimo settore operativo (Danone, Unilever, Nestlé), utilizzando unicamente dati di pubblico dominio (i dati falsi per Parmalat).

L'interessante studio ha evidenziato che vi erano notevoli anomalie del gruppo Parmalat rispetto agli altri gruppi industriali similari. [27] Ci si chiede se tali preoccupanti anomalie fossero state rilevate anche dagli analisti delle agenzie di rating , che, a differenza di Vitale, avevano a disposizione e potevano richiedere direttamente alle società in esame anche informazioni e dati riservati. Una nota agenzia di rating , che classificava le emissioni Parmalat come titoli di investimento a rischio contenuto, solo il 9 dicembre 2003 decideva il loro declassamento alla categoria di titoli speculativi, e nei giorni successivi sollevava seri dubbi sul loro buon fine. Orbene in quei giorni anche l'uomo della strada, leggendo i giornali, si era reso perfettamente conto della grave situazione finanziaria dell'azienda.


[24] Commenta a questo riguardo Marco Vitale (2004): "Pur attribuendo a "quelli di Collecchio una capacità diabolica di imbrogliare i revisori.questi non possono farsi ingannare e sbagliare in questa misura. C'è un limite in tutti i mestieri. Oltre questo limite vuol dire che si è inesistenti, inutili, da cancellare".

[25] Sempre Marco Vitale (2004) non riesce a spiegarsi come, pur in presenza di evidenti anomalie di bilancio, nel novembre 2003 l'analista di Citicorp raccomandasse "buy" con riferimento ai titoli Parmalat. 26 Sul Corriere della Sera del 4 marzo 2005 Enrico Bondi afferma: "Risulta che già nel 1997 fosse evidente una dsifferenza significativa l'esposizione debitoria dichiarata a bilancio e quella rilevabile attraverso Bloombetrg e la Centrale rischi della Banca d'Italia".

[27] In particolare il rapporto Debito/Fatturato alla fine del 2002 corrispondeva a 44,3 per Parmalat, a 24,8 per Danone, a 16 per Nestlé ed a 7,2 per Unilever. Nel periodo 2000-2003 il Cash flow , di Parmalat si riduceva drammaticamente, mentre aumentava negli altri tre gruppi (Vitale 2004).

Documento del Prof. Arnaldo Mauri

Successivo: I rimedi

Sommario: Indice