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La tutela del risparmio dopo i casi Argentina e Parmalat

Introduzione

La nozione corrente di risparmio fa riferimento alla virtù della parsimonia e ad un generico contenimento o differimento dei consumi da parte dell’uomo. Con maggiore specificità si può esprimere con questa parola una limitazione dei consumi alla misura strettamente necessaria per conseguire gli obiettivi prefissati (Lisle 1971, Dell’Amore 1972). In questo senso l’espressione “risparmio”, inteso come uso parsimonioso ed efficiente delle risorse, trova un sinonimo in “economia”, o almeno in uno dei significati più comunemente attribuiti a questo termine. Il verbo economizzare è, inoltre, sinonimo di risparmiare.

Nei testi delle discipline economiche il risparmio è, in senso lato, definito come la parte del reddito sottratta al consumo. Occorre tuttavia approfondire l’aspetto semantico della parola “risparmio”, dal momento che nel linguaggio economico corrente questa parola viene usata per indicare almeno tre concetti differenti. Un primo significato evidenzia l’atto di risparmiare, ossia il comportamento dell’uomo che limita consapevolmente i propri consumi. Questa decisione di rinuncia al consumo presente in contropartita ad un ipotetico maggior consumo futuro implica un sacrificio di entità variabile da caso a caso in funzione di tutta una serie di fattori e di condizioni, non ultima fra questi la volontarietà dell’atto.

Un secondo concetto di “risparmio” si riferisce al risultato di tale comportamento, ottenuto in un determinato periodo. Questo risultato può essere misurato ex post facendo ricorso a tecniche contabili. Dato che il risparmio è la differenza tra reddito e consumo, si ha una somma algebrica tra due grandezze flusso di segno opposto. Di conseguenza anche il risparmio, in questa particolare accezione, emerge sotto forma di flusso. Più frequentemente, infine, la stampa specializzata ricorre al termine “risparmio” (o al suo plurale “risparmi”) per indicare un terzo concetto, ovvero il capitale o la ricchezza, frutto di risparmi accumulatisi nel tempo ad opera della generazione contemporanea o delle generazioni passate. In questo caso si tratta di una grandezza fondo (o stock).

Ed è soprattutto con quest’ultimo significato che viene usata l’espressione “risparmio” nel dibattito in corso in tema di tutela del risparmio. Ricapitolando possiamo affermare che nel linguaggio economico corrente il termine risparmio può significare un atto, un flusso o un fondo, sempre riferiti ad un soggetto (persona o collettività). Se poi approfondiamo ulteriormente questo tema negli studi degli economisti possiamo riscontrare diversità di approcci tra l’analisi del risparmio inteso come fenomeno macroeconomico e quella del risparmio in un’ottica microeconomica o aziendale. La letteratura economica dedica poi ampio spazio ai rapporti tra risparmio e investimenti.

Il risparmio nazionale, secondo un’accezione che risale a Léon Walras, corrisponde alla differenza tra prodotto interno e consumi e risulta identico alla somma degli investimenti interni corretti dalla variazione del saldo debitore o creditore verso il resto del mondo. Il tasso di risparmio di una determinata collettività è dato dal rapporto percentuale fra il risparmio accumulato in un dato periodo ed il reddito conseguito nel medesimo arco temporale, convenzionalmente rappresentato dall’anno solare. Alla formazione del risparmio nazionale contribuiscono più soggetti, ai quali fanno riferimento le decisioni e le attività di consumo e di risparmio.

Tali soggetti in relazione ai loro ambiti di appartenenza sono classificati secondo la seguente tripartizione: Pubblica Amministrazione, imprese e famiglie (Fuà 1961). Il risparmio conseguito dal settore “Pubblica Amministrazione” nel suo complesso (stato, enti locali, enti pubblici di varia natura) viene chiamato risparmio pubblico. Ad esso si contrappone il risparmio privato, ovvero la somma di quanto accumulato dalle due altre grandi categorie di soggetti: le famiglie e le imprese. Il risparmio accumulato delle famiglie viene indicato come familiare (alcuni economisti rifiutano questo termine e propendono invece per l’uso del termine “risparmio individuale” o, alternativamente, “risparmio personale”).

Con riferimento al settore delle imprese, si parla invece di risparmio di impresa o, in alternativa, di risparmio societario, per indicare la parte del reddito conseguito dalle imprese, al netto delle imposte, che non viene distribuita ai soci, ma che è portata ad incremento del capitale.

I governi fissano obiettivi di risparmio nazionale coerenti con gli obiettivi generali della politica economica (Villard 1959). Per il conseguimento di tali obiettivi essi possono influire sulla misura del risparmio nazionale sia manovrando direttamente la variabile risparmio pubblico sia agendo per via indiretta sul risparmio privato attraverso opportuni interventi. La combinazione dei risparmi provenienti dalle varie fonti può risultare modificata dagli interventi dei pubblici poteri, i quali, tuttavia, debbono essere consapevoli dei complessi rapporti di interdipendenza che legano tali risparmi e che li inseriscono in un processo di accumulazione tendenzialmente unitario (Dell’Amore 1972). Ad esempio un inasprimento della pressione fiscale dovrebbe generare risparmio pubblico, ma verosimilmente causerebbe anche una contrazione del risparmio privato.

Del pari una politica di incremento dell’autofinanziamento da parte delle imprese, implementata ricorrendo ad una contrazione dei dividendi, potrebbe ugualmente portare ad una riduzione del risparmio familiare. Il tema del presente convegno riguarda in particolare il risparmio familiare poiché è questa la tipologia di risparmio che necessita di tutela. Ed è soprattutto al risparmio delle famiglie che pensavano, nel maggio del 1947, i padri della Costituzione della Repubblica Italiana nel predisporre l’art. 47, che recita: “la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito.

Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese”. E’ interessante ricordare che per l’art. 47 fu approvato, dopo un interessante dibattito, il testo proposto da un economista aziendale, il professor Tommaso Zerbi.

La Costituzione Europea, invece, mentre si preoccupa di tutelare i cittadini europei lavoratori e consumatori, sorprendentemente si dimentica dei cittadini europei risparmiatori. Non è facile dare una sicura spiegazione di questa amnesia nella carta europea dei diritti e dei doveri, un documento che in alcuni punti appare ipertrofico ed in altri lacunoso. L’interpretazione, non disinteressata, data dalle associazioni dei consumatori è che il consumo, pur raffigurato comunemente come l’antitesi del risparmio, in realtà lo comprende.

Non è un’affermazione assurda, come potrebbe apparire. E’ sufficiente adottare un’ottica che vede nel risparmiatore un acquirente di prodotti finanziari, il quale necessita di protezione, non diversamente da quando acquista prodotti destinati al consumo. Si tratta di protezione contro inganni pubblicitari, scarsa trasparenza del mercato e comportamenti scorretti da parte dei produttori e dei venditori: nella fattispecie gli enti emittenti, le banche e gli altri intermediari finanziari che vendono al dettaglio i prodotti finanziari. Queste associazioni, infatti, si sono schierate a difesa dei risparmiatori vittime dei casi di malafinanza come per le obbligazioni argentine e quelle Cirio e di Parmalat.

E’ comunque un dato di fatto che sia a livello nazionale sia a livello comunitario si sente la mancanza di organismi di natura associativa indirizzati specificamente alla difesa del risparmio comparabili non solo con i sindacati che tutelano i lavoratori, ma anche con le associazioni che tutelano i consumatori.

Queste ultime si occupano anche della protezione del risparmio, ma solo marginalmente e con riferimento alla distribuzione alle famiglie di prodotti finanziari da parte delle banche e degli altri intermediari finanziari. Nessun organismo associativo importante ha mai preso, invece, le difese dei risparmiatori su altri fronti, come ad esempio quello fiscale. Oggi, ad esempio, da più parti (associazioni di imprenditori, sindacati, partiti politici) si chiede un inasprimento della tassazione dei risparmi finanziari facendo ricorso anche ad argomentazioni non corrette, ma nessuna associazione ha preso posizione in difesa del risparmio.

Documento del Prof. Arnaldo Mauri

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