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Sulle dinamiche del ciclo misesiano

Dinamica del ciclo e mercato dei fattori

La visione della fase di espansione trainata da consumi e investimenti, secondo quanto proposto in queste pagine, ha due risvolti importanti – uno sotto il profilo positivo, l’altro sotto quello normativo. Si riconsideri a questo fine l’elemento chiave della teoria misesiana dell’inflazione e della parte monetaria del ciclo – la sequenzialità dell’aumento dei prezzi, in virtù della quale gli investitori, indebitandosi [25], entrano in possesso di moneta fiduciaria considerata dal pubblico sostituto perfetto della moneta effettiva e aumentano il proprio potere d’acquisto. Tale potere d’acquisto viene utilizzato per adeguare la capacità produttiva all’aumento percepito e/o previsto della domanda di beni di consumo; cresce così la domanda di fattori produttivi.

Se l’offerta di fattori non è perfettamente rigida, i loro proprietari reagiranno all’aumento della domanda offrendo una quantità maggiore di input. Ciò potrà avvenire perché il prezzo dei fattori è cresciuto: in considerazione dell’aumento del valore della produttività marginale dei fattori gli investitori saranno infatti disposti a corrispondere ai loro possessori una remunerazione più elevata – in ciò consiste per l’appunto l’aumento della domanda di fattori.

Si osservi in particolare che l’aumento del costo dei fattori che si osserva è in termini reali, e non solo nominali. Anche se i possessori di fattori avessero capacità di previsione perfette e sapessero che prima o poi il fenomeno inflazionistico sarà generalizzato, la loro reazione alle richieste degli investitori non cambierebbe. Per tutto il periodo durante il quale la sequenza inflazionistica dispiega i propri effetti, i fattori produttivi continueranno infatti a percepire una remunerazione realmente più elevata rispetto a quella iniziale[26].

Anche in questa prospettiva la fine del boom è definita dai tempi del fenomeno inflazionistico[27]. A mano a mano che il livello generale dei prezzi sale, l’offerta di lavoro si riduce, la domanda di beni di consumo si contrae e i progetti di investimento avviati si rivelano più onerosi del previsto. Gli investitori si trovano dunque sia con un eccesso di capacità produttiva progettata, sia con piani di investimento più onerosi rispetto a quanto previsto, a causa della minore disponibilità di input[28].

Per quanto riguarda la depressione, secondo la terminologia austriaca essa consiste nel periodo necessario per completare l’aggiustamento. Durante questo intervallo l’output è inferiore al livello di equilibrio (tipico della evenly rotating economy) poiché gli investimenti vanno in parte perduti e la crisi del sistema finanziario riduce le possibilità di investimento. In altri termini, la depressione austriaca si caratterizza per una carenza di investimenti ed è tanto più breve, quanto minori sono i tentativi di alleviare o ritardare l’aggiustamento.

Questa teoria della depressione non è però compatibile con l’impostazione proposta in queste pagine. Se è plausibile sostenere che durante l’espansione gli investitori intensificano il proprio impegno di accumulazione, è invece difficile comprendere come tali operatori siano colti dalla crisi con problemi di sotto-capacità produttiva. Non a caso molti operatori durante la depressione si astengono dall’investire per timore di trovarsi sovra-dimensionati rispetto alle effettive richieste del mercato. Si può solo sostenere che durante la depressione si registra una mancanza di capacità produttiva, nel senso che gli input sono diventati scarsi (rispetto al periodo di boom).

E che la ristrutturazione dei progetti d’investimento diventa necessaria: sia perché si è investito troppo in una prospettiva di lungo periodo, sia perché si è investito con tecniche (intensità fattoriali) che erano appropriate nella fase di espansione, ma che non lo sono più quando subentra la crisi. Per esempio, se all’inizio del ciclo possono essere attraenti progetti ad alta densità di lavoro poco qualificato, successivamente potrebbero risultare preferibili investimenti a bassa intensità di lavoro poco qualificato. E non c’è dubbio che i costi di conversione sotto questo profilo possono risultare molto elevati; probabilmente più di quelli legati a una revisione della tempistica di realizzazione dei progetti stessi.

In sintesi, i costi di aggiustamento propri della depressione devono comprendere anche gli effetti sulla produzione dovuti all’impiego forzosamente inefficiente dei fattori[29].

Questa rappresentazione della depressione austriaca può spiegare perché l’economia, dopo il boom, fatica a ritornare alle condizioni di funzionamento ‘normali’ e rimane a livelli di attività insoddisfacenti. Al tempo stesso, tuttavia, essa suggerisce comunque il configurarsi di una fase di depressione limitata al periodo in cui gli agenti ristrutturano i propri consumi, gli investitori rivedono le proprie previsioni, la concorrenza nel settore bancario restituisce funzionalità al sistema.

Più precisamente, la fine dell’espansione si materializza in uno shock a cui fa seguito un periodo di recupero - quindi con tassi di crescita positivi - più o meno prolungato. La realtà invece presenta di frequente un andamento diverso, ove la fine del boom è seguita da un crash relativamente morbido, a cui fa seguito un periodo di crescita prossima allo zero (stagnazione).


25 La versione misesiana non prevede l’erogazione di credito al consumo.

26 È facile a questo punto ipotizzare due scenari diversi. Se l’iniezione di moneta fiduciaria è limitata un breve periodo, allora, dopo il momento iniziale, il prezzo reale dei fattori inizia a declinare. Si avrà quindi un livello di produzione che subito sale molto al di sopra di quanto riscontrato nella evenly rotating economy e poi declina gradualmente con il diffondersi dell’inflazione, pur rimanendo ancora a lungo superiore a quello della evenly rotating economy. Sarebbe questo uno scenario di rientro morbido dal boom.

In alternativa si può immaginare una immissione duratura di credito circolante, tale per cui l’erosione dei prezzi dei fattori a opera dell’inflazione viene compensata dal nuovo potere d’acquisto che viene trasferito loro dagli investitori. In questo caso l’espansione sarebbe più intensa e prolungata – e la gravità dei problemi di sovra-capacità produttiva maggiore. Questo secondo scenario sarebbe stato certamente più vicino alla prospettiva misesiana, secondo cui maggiore è l’intensità e la durata dell’espansione, maggiori saranno i danni provocati dal crash.

27 E dipende anche da quanto occorre ai consumatori per rendersi conto che le loro scelte erano state guidate dalla percezione di una nuova frontiera produttiva, frontiera che in realtà non è cambiata.

Garrison (1978b [1996]) propone una versione simile. Nel suo caso però la crisi non viene innescata dai consumatori che rivedono i propri piani di consumo; bensì dai produttori, che non riescono a ultimare i propri piani di investimento a causa della carenza di risparmi. Si dà quindi per scontato che l’emissione di moneta fiduciaria sia limitata a un breve intervallo temporale. Si veda più in generale Bellofiore (1999:XXI-XXIII) per il dibattito sulle cause della crisi nel ciclo austriaco.

28 Si noti che, contrariamente a quanto avviene nel mercato finanziario, il rispetto di contratti a lungo termine per quanto riguarda i fattori produttivi (per esempio il lavoro) sono di fatto meno vincolanti.

29 Ciò può peraltro contribuire a spiegare perché durante la depressione si assiste a una diminuzione rallentata nell’occupazione: lasciare capacità produttiva inutilizzata può essere più costoso che non produrre in condizioni sub-ottimali.

Prof. Enrico Colombatto

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